Numero di giugno
Sommario:

Comunicare è vivere pag.1
Il medioevo della giustizia -1
Una nave a vela - 2
Anziani nel terzo millennio - 3
Cinema che passione! - 3
Iniziative dal Lazio - 4
In diretta dal Campidoglio - 4
Notizie da Roma - 4 “Marcaureglio” 4
Il Palazzo aperto al pubblico - 5
C’era una volta - 5

marzo  -  maggio  


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Cinema - 6
La pace e i suoi uomini - 6
“Vegliarda madre” - 6
Un premio meritato: 
Nonni amorosi - 7
Vigili del fuoco sempre all’erta - 7
Nazionalismo o integrazione - 8
Mondiali di calcio - 9
Farmaci come droghe? - 9
Internet - 10
Tammuriate e tarantella - 11
Casa è bello! - 12

COMUNICARE
E' VIVERE
di Carmelo Occhino
L’anno accademico volge al termine e, come in ogni istituzione che si rispetti, anche per l’Upe è l’ora dei bilanci. Viene spontaneo rilevare che la nostra Università è diventata, in poco tempo, il punto di riferimento per molti che vogliono realizzare lo spirito e gli obiettivi della “formazione continua”. Una formazione alla quale bisogna accedere anche dopo i normali anni di attività scolastica. Perchè... non solo gli esami non finiscono mai, ma è anche certo che non si finisce mai di imparare.
E la nostra esperienza, quella che viviamo anche mentre prepariamo il giornale che avete tra le mani, ci dice che stare assieme, scambiare idee e confrontarsi sui tanti problemi e avvenimenti di cui si parla e si scrive va oltre il semplice apprendimento. Perchè ci fa comunicare con gli altri e ci mette in condizioni di capire e far capire, arricchendo la nostra vita.


IL MEDIOEVO DELLA GIUSTIZIA
di Giuseppe Trabace
Al danno si è aggiunta la beffa. Un atto di partecipazione umana alla fine di un discusso processo è stato interpretato dal presidente della seconda Corte di assise di Roma Vecchione come una iniziativa lesiva della giustizia di quest’Italia adamantina… Nel mese di aprile la studentessa Daniela Stuto viene prosciolta per non avere commesso il fatto dall’accusa di avere avvelenato mortalmente con il cianuro la sua più cara amica Francesca Moretti. L’opinione pubblica è sconcertata. Gli organi di polizia e la Procura hanno perseguito l’ipotesi accusatoria con determinazione nonostante le prove del presunto efferato omicidio latitassero. Daniela Poggi, conduttrice della popolare trasmissione televisiva “chi l’ha visto?”, afferma, dopo un’accurata inchiesta, che contro la Stuto non vi era “uno straccio di prova”. Non c’era che da rendere merito alla giuria popolare della Corte di assise di avere bene operato per salvare dal baratro di una lunga carcerazione quella donna che pure per quasi due anni aveva attraversato la tragica odissea comune ad ogni essere umano perseguito ingiustamente. Al contrario il presidente di Corte d’assise chiede provvedimenti disciplinari contro due donne, componenti della giuria popolare, “colpevoli” di avere abbracciato, poco dopo la pronuncia della sentenza di assoluzione, l’imputata. Un giudice che non ha esitato a chiedere anche l’ apertura di un procedimento penale contro un ignoto componente della giuria che avrebbe diffuso la notizia che i giudici popolari si sarebbero pronunciati all’unanimità per l’assoluzione di Daniela Stuto. A questa presa di posizione si potrebbe ribattere che non appare certo che il famoso abbraccio sia effettivamente avvenuto e che la nostra “severa” giustizia ci ha abituati da tempo - immemorabile? - a fughe di notizie su provvedimenti giudiziari, al punto da coinvolgere nel 1994 lo stesso Presidente del Consiglio Berlusconi. Il punto nodale va però nella direzione di una sostanziale “disattenzione” negli ultimi anni di parte della nostra magistratura verso le problematiche essenziali che riguardano tutti a partire dalla incredibile lentezza dei procedimenti civili, penali ed amministrativi e, proseguendo, alla questione della intoccabilità di quei P.M. e di quei giudici che sbagliano clamorosamente, al ruolo discutibile, a carattere pseudo sindacale, espresso dal Consiglio Superiore della Magistratura e via proseguendo. Si preferisce soffermarsi, e talvolta accanirsi, sugli aspetti formali che pure hanno una loro valenza ma che, se applicati rigidamente e con scarso rispetto per le sensibilità personali, rischiano di trasformarsi in un involuto modo di procedere che allontana gli utenti dalla giustizia. La difesa del cittadino? Non ci sono formule univoche. Una via è quella della massima attenzione su tutto ciò che le cronache politiche e giudiziarie, più o meno fedeli, portano a nostra conoscenza anche giornalmente. Un’attenzione critica che può contribuire alla formazione di una coscienza su come viene amministrata la giustizia nel nostro paese e su quello che va, una volta per tutte, estirpato per poter ipotizzare un sistema giudiziario che effettivamente funzioni.