Se
per 7 mesi
ho potuto restare in ospedale ed anche ora a
casa continuare ad accettare la mia malattia è perché ho
utilizzato e valorizzato bene la sofferenza.
Ho infatti la certezza che il
dolore non è mai vano, mai inutile. Anzi nel momento in cui mi sono
accorta di essere paralizzata, di dover dipendere in tutto
dagli altri, ho elevato la mia esistenza ad una dimensione soprannaturale
per riscattarla e sublimarla per un destino superiore che oltrepassasse la
mia situazione personale e servisse ad una società, che ha tanto bisogno
di chi sappia accettare la sofferenza. Ho capito di poter collaborare con
Cristo nel piano della salvezza e diffondere intorno a me un
esempio di forza morale, che solamente chi soffre, con la fede
nell’anima, può comunicare agli altri. Come ha scritto San
Paolo:”Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e
completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore
del suo corpo che è la Chiesa“ (Col.1,24).Mi ha molto aiutato
assistere alla Messa e ricevere ogni giorno la Comunione.Ho chiesto al
cappellano l’unzione degli infermi con spirito di grande fiducia e
l’ho ricevuta nella camerata dell’ospedale, presenti le altre
ammalate. E’ stata per me una fonte di forza sia per l’anima che
per il corpo. Ho invocato anche la guarigione, ma sempre al fine che
la salute del corpo mi porti ad una unione più profonda con Dio
attraverso l’accrescimento della grazia.Pur permettendo l’esistenza
della sofferenza nel mondo, certamente il Signore non ne è
contento, perché è un Dio di misericordia. Infatti Gesù ha amato i
malati ed ha dedicato una gran parte del suo ministero terreno a
guarirli e a confortarli. Al lebbroso, però, che gli chiede:”Se
vuoi puoi guarirmi“(Mc 1,40),quando è risanato, Gesù gli
proibisce di parlare del suo risanamento. C’è sempre durante la
Sua vita molta riservatezza riguardo alle guarigioni. Il Suo
atteggiamento fa capire che è qualcosa di eccezionale, dal punto di vista
dell’economia divina della salvezza.Ho molto pregato Maria, l’ho
invocata come salute degli infermi, recitando nella cappella
dell’ospedale il rosario e rispondendo alle litanie della Madonna.Sono
certa che ha presentato le mie sommesse invocazioni ed i miei affanni a
Gesù, il solo sollievo e ristoro nelle tribolazioni della mia vita.
Questo intimo e filiale colloquio con Maria nelle ore della solitudine,
dell’angoscia e della disperazione, mi ha aiutato a sopportare la mia
croce e a capire che le mie sofferenze diventavano fonte di merito.Ho
anche scoperto un maestro che guardo alla televisione e di cui ascolto e
leggo le parole. Mi è di esempio in questo periodo di sofferenza,
mi predilige ed ha affetto per me, perché sono malata e prega per
me, anche se non mi conosce. Infatti Giovanni Paolo II mi può capire
proprio perché ha sperimentato la sofferenza ed ha conosciuto la
debolezza fisica, che deriva dalla menomazione e dalla malattia. Ha
vissuto il dolore del corpo con fortezza cristiana senza mai
perdersi d’animo, dando un valore superiore alle sue malattie
santificandole e si è abbandonato con fiducia al Signore che lo prova,
riuscendo a condividere le Sue sofferenze per partecipare anche alla Sua
gloria (cf. Rm 8,17). Alle udienze ha sempre voluto gli ammalati accanto a
sè ed ha parlato loro considerandoli vicini al suo cuore e molto
importanti per il bene della Chiesa. Per il Papa le nostre vite
hanno un profondo significato, perché la sofferenza cristianamente
accolta e sopportata è preziosa agli occhi e al cuore di Gesù, una
sorgente di bene per lo stesso ammalato, per la Chiesa e per i fratelli.
Ha sempre esortato gli infermi a non cedere allo scoraggiamento, ma
a lottare contro la malattia per riacquistare la salute e la piena
disponibilità verso sé stessi per essere un monito vivente di una
realtà fondamentale per il cristiano: la croce portata per amore del
Signore e dell’umanità. La strada per ottenere un’autentica
serenità, un forte sostegno ed un’incredibile forza è quella
dell’imitazione di Cristo sofferente. La nostra sofferenza, unita
alla Sua, se accettata ed offerta con generosa disponibilità, diventa una
sorgente di bene e uno strumento prezioso di redenzione per la salvezza
degli altri ed un grande valore nel piano di Dio. Per il Papa, saper
soffrire con amore, con rassegnazione, con coraggio, con fiducia, con
pazienza è una grande arte che si impara soltanto con l’aiuto della
grazia divina alla scuola di Cristo Crocifisso, che conosce e santifica la
nostra sofferenza. Quando Giovanni Paolo II ha incontrato i malati
all’udienza del 13 gennaio 1982 disse loro:”Siate coraggiosi e forti:
unite i vostri dolori e le vostre sofferenze a quelli del Crocifisso
e diventerete corredentori dell’umanità insieme al Cristo. Il Papa
è con voi e vi ricorda sempre nella preghiera”. Quando egli deve
partire chiede ai malati di offrire le loro sofferenze e di seguirlo
da vicino durante il viaggio; è sicuro che possono far molto per lui, ma
allo stesso tempo, promette di pregare per loro e per la loro
salute durante la Messa (cf. Omelia nella Basilica di S. Pietro 11
febbraio 1982). Negli ultimi viaggi del Papa io ho offerto le mie
sofferenze per lui.
Come scrive l’Anonimo Brasiliano nel “Messaggio di tenerezza”,
anch’io, durante la mia vita, ho camminato sulla sabbia accompagnata dal
Signore ed ho sempre visto le orme del Signore insieme
alle mie. Durante la mia malattia mi sembrava di vedere solo le mie ed
“ho domandato allora: Signore, tu avevi detto che saresti stato con me
in tutti i giorni della mia vita ed io ho accettato di vivere con te, ma
perché mi hai lasciata sola proprio nei momenti peggiori della mia
vita?” Il Signore mi ha risposto dicendomi:“Io ti amo e ti dissi che
sarei stato con te durante tutta la camminata e che non ti avrei lasciata
sola neppure per un attimo e non ti ho lasciata...i giorni in cui tu hai
visto solo un’orma sulla sabbia sono stati i giorni in cui ti ho portato
in braccio”.
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