L’infanzia, la prima
adolescenza, secondo una concezione tradizionale ed alquanto superata,
sarebbero periodi di giochi spensierati, di abbandono alla fantasia ad
ai sogni. Non è così purtroppo. Certo vi sono positività e momenti
lieti, ma, come tanta letteratura, a partire da Dickens, ci insegna
quei primi passi della vita sono anche segnati da paure e sofferenze,
soprattutto morali Questo lo spunto da cui il regista esordiente Kim
Rossi Stuart- - per altri versi già affermato e popolare attore- parte
per descrivere nel film “Anche libero va bene“ una complessa situazione
familiare dei nostri giorni.in una Roma un tantino cupa. La vicenda si dipana nei suoi drammatici sviluppi ma tutto ciò
che avviene è espresso attraverso le sensbilità, le pulsioni, lo
sguardo critico di un bambino di circa dieci anni chiamato Tommi. Lo
spunto è interessante ma non originale in quanto lo stesso tipo di
marchingegno era stato escogitato nel 1941 dal grande regista Vittorio
De Sica con il commovente film “I bambini ci guardano“. Ciò non toglie a
Rossi Stuart il merito di averci dato un film sincero e che, rifuggendo
da effetti di facile presa, riesce nell’impresa non facile di entrare
nei problemi di quel giovane essere umano.
Tommi è un bambino del tutto normale calato in una situazione familiare
difficile, dove talvolta, si manifestano lampi di una violenza, non
fisica ma morale, che mina dall’interno la convivenza. Il padre è un
uomo giovane dei nostri tempi. Ambizioso, afflitto dalla nevrosi
dell’affermazione personale, con un atteggiamento protettivo nei
confronti dei due figli ma anche segnato da una discutibile ostinazione
a che Tommy diventi ad ogni costo un campione di nuoto. Quest’uomo
particolare è inoltre un uomo solo. La moglie e madre dei suoi figli da
anni saltuariamente abbandona la famiglia per concedersi ad uomini
diversi. Salvo poi tornare in lacrime, pentita per il suo comportamento
e “assalire“ i figli invocando il loro perdono. La figlia più grande
Viola, morbosamente attaccata al fratello, è attraversata da crisi
adolescenziali. In questa famiglia – stranamente?- il più maturo e
riflessivo appare Tommi. Lui per certi aspetti teme gli scatti di rabbia
del padre - vedasi la scena in cui il bambino è costretto dal genitore
infuriato a correre per i prati -, ma nella sostanza comprende il dolore
di quest’uomo che nella vita, sia personale che professionale, è stato
ferito in profondità. Il rapporto affettivo padre- figlio a volte
traballa ma tutto sommato regge. Dalla sorella espansiva,ai limiti della
morbosità, nei suoi confronti Tommi si difende senza astiosità. Infine
ragionevole è il suo comportamento con la madre. Non le nega affetto ma
è lucidamente conscio delle inadeguatezze intrinseche alla personalità
della donna. .Il film si conclude con il bambino che piange
sommessamente dinanzi ad un regalino inviatogli dalla madre nuovamente
in fuga. Tommi sa che quel rapporto con la madre non potrà cessare del
tutto ma che non vi sono speranze per un ricompattamento della famiglia.
Kim Rossi Stuart ha diretto la
sua opera prima con intensa partecipazione, descrivendoci una famiglia
come tante che cerca in qualche modo di tirare avanti all’interno di una
società in cui i valori impallidiscono e si fanno precari.. Il mondo di
Tommi è raccontato con tocchi di sensibilità che raramente, in questo
periodo, si incontrano nel cinema del nostro paese. La sceneggiatura
della stesso regista e di Ferri, Starnone e Giammusso è complessivamente
di buon livello anche se si nota qualche caduta di gusto e qualche ovvia
convenzionalità quale la descrizione del mondo della scuola. La
recitazione degli attori è di primo piano. Alessandro Morace impersona
Tommi e ce ne da un ritratto convincente. Il suo volto, il suo modo di
muoversi ricorda, con realismo lodevole, le incertezze e i tremori di
un’età difficile in cui ci si scontra, forse per la prima volta, con le
asprezze della vita. Il regista si riserva la parte del padre e, con
indubbia sapienza recitativa, offre una sua lettura di un padre di oggi,
dibattuto tra l’amore sincero per i suoi figli e il confronto
conflittuale con un mondo esterno non amico. Barbora Bobulova, nel ruolo
della madre, sceglie di recitare in modo elementare, un po’ scolastico,
e pur tuttavia appare efficace nelle scene madri dei suoi tardivi
pentimenti. Corretti gli altri interpreti.
Un film,
forse triste, ma da andare a vedere per le sue capacità di toccare le
corde intime del nostro vivere.
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