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THE TERMINAL

SI PUO’ SOGNARE LA LIBERTA’?
di Giuseppe Trabace

 Quello straniero sperduto nell’immenso aeroporto di New York deve in qualche modo sopravvivere e si batte con dolce e inesauribile tenacia contro i lacci e laccioli della burocrazia statunitense. Questa la metafora geniale di Steven Spielberg per mostrarci- spesso toccando le corde della poesia- nel suo film “ The terminal “ la situazione di solitudine e sofferenza dei tanti immigrati alla ricerca di un’accoglienza e di spazi di libertà da parte di quei paesi ricchi, talvolta ostili se non indifferenti verso le loro aspirazioni.
La trama sposa i temi della commedia surreale, eppure il regista si è ispirato alla vicenda autentica di un indiano che da tre lustri vive a Parigi.
Il turista qualsiasi Viktor Navorsky giunge all’aeroporto di New York da una immaginaria nazione dell’est europeo ma gli viene impedito di uscirne per il fatto che nel suo paese di provenienza è improvvisamente scoppiata una rivoluzione. Secondo il rigido responsabile della stazione aeroportuale Dixon  il povero turista è in tale frangente un apolide che non può accedere nella grande metropoli e ad un tempo non può nemmeno ripartire per il suo paese sconvolto da quegli avvenimenti.. L’uomo cerca di spiegarsi, di far valere le sue ragioni senza mai trascendere ma sforzandosi di comprendere le ragioni dei suoi interlocutori. La lingua parlata da Viktor è incomprensibile in primo luogo per chi lo ascolta con sufficienza e gli oppone con monotona ripetitività le norme del regolamento. Ora il turista è solo e deve trovare il modo di sbarcare il lunario all’interno di quella enorme e caotica stazione dove si incrociano frettolosamente uomini di tutte le razze. Animato da una volontà incrollabile ecco il buffo avvitarsi di quell’essere umano di fatto abbandonato da tutti. All’inizio affamato cerca qualche spicciolo ma la colorata moltitudine che lo circonda lo respinge con diffidenza , se non con acredine. Viktor ò, al contrario, aperto e disponibile verso i problemi degli altri, non si piange addosso e, infine, ha tanta voglia di fare. Riesce a imparare l’inglese e trova perfino un lavoro all’interno dell’aeroporto. Dixon tenta di agevolargli la fuga dalla grande stazione sapendo che fuori di lì altri poteri cercheranno di stritolarlo. Viktor non cadrà nella trappola e resterà in quel luogo anche perché le solidarietà intorno a lui crescono. Egli per i tanti immigrati che svolgono lavori umili nella stazione diviene man mano un simbolo di uomo libero che si batte con mezzi non violenti contro  quelli che comandano. Dopo mesi la rivoluzione nel paese di origine del protagonista viene debellata e lui potrebbe rimpatriare ma ancora una volta quell’uomo afferma la sua indipendenza. A New York deve entrare per rispettare un desiderio del padre defunto. Ci andrà con l’aiuto delle tante persone che lo amano e nonostante le resistenze di quei burocrati dell’aeroporto inveleniti dal comportamento coerente dell’uomo.
Spielberg ci ha raccontato forse una favola ma ha colto il segno. Egli utilizza con maestria un linguaggio che ricorda, per la sua efficace incidenza ironica sui piccoli fatti della vita quotidiana, quello del grande regista-comico francese Jacques Tati. Vi aggiunge reminiscenze di quella commedia sentimentale e inguaribilmente ottimistica  degli anni 30 che ha per capostipite Frank Capra. La recitazione degli attori è una delle forze trainanti del film. Tom Hanks impersona Viktor con disincantata semplicità. L’attore si cala nel personaggio fino in fondo, ci rende il suo goffo modo di incedere, i suoi sguardi attoniti, la sua testardaggine nel difendersi da chi lo perseguita. Il suo avversario Dixon è interpretato dal poliedrico regista-attore Stanley Tucci. Egli tratteggia magistralmente quest’uomo forse non cattivo ma che vuole affermare il suo potere impugnando il regolamento quasi fosse un Vangelo sull’indifeso, ma anche “ribelle”, Viktor. Al confronto appare sbiadita la recitazione della pur affascinante Catherine Zeta Jones nel ruolo di una hostess che ha una fugace storia d’amore con il protagonista.

Un film riuscito da non perdere