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SINCERITA'

di Giuseppe Trabace

Era di novembre negli anni del dopoguerra. Le foglie inondavano i marciapiedi in quella via alberata del quartiere Monteverde di Roma. Livia Corini camminava triste e pensierosa. La sua vita era ad una svolta. 
Aveva avuto una sola traumatica esperienza amorosa. A 18 anni aveva preso una cotta al liceo per Marco,  quel ragazzo dai lunghi capelli biondi. Lui l’aveva circuita per mesi, le aveva prestato mille attenzioni, non chiedendole nulla, neppure un bacio Lei quasi dubitava che lui l’amasse. Poi un pomeriggio di giugno erano andati insieme al cinema. Il “candido” giovane l’aveva prima baciata con intensità e poi, all’uscita dalla proiezione,  spinta con forza in un stanzetta buia laterale. Il suo corpo era stato violato con brutalità e dopo quel gentiluomo non l’aveva neppure accompagnata a casa. Non l’aveva detto a nessuno, si attribuiva delle colpe e poi i suoi genitori sarebbero stati i suoi primi persecutori. Anni anonimi erano trascorsi. Aveva compiuto trentadue anni. La sua vita? Una piccola stanza di un appartamento in cui viveva da sola, un lavoro non amato di impiegata in uno studio di avvocato, le serate a leggiucchiare qualche libro senza nemmeno parenti o  amici con cui sfogarsi.
Oggi quel cardiologo, cui si era recata per una visita di routine, le aveva diagnosticato con sicurezza quel difetto mitralico che avrebbe comportato cure continue e costose.. Le era parso di entrare in un gorgo, non era abituata alla malattia e poi proprio nell’unico periodo felice della sua esistenza... Stava vivendo da nemmeno due mesi una storia con Tonino. Un incontro casuale in un ufficio di un ente previdenziale. Lei vi era andata per chiedere notizie sul fatto che alla madre vedova ancora non arrivava dopo molti mesi la pensione di reversibilità. Quell’uomo sui quarant’anni, leggermente brizzolato, dai grandi occhi verde scuro, le era subito piaciuto. Era affabile, aveva  subito trovato la pratica di pensione  e compresa la causa del ritardo Occorreva però che la madre sottoscrivesse l’ennesimo modulo. Livia stranamente fu quasi contenta di tornare dopo qualche giorno. Quella persona la guardava al secondo incontro con intensità forse esagerata ma a lei non dispiacque e con disinvoltura accettò di vederlo il sabato successivo per un tè in centro. Si chiamava Tonino Accunto, un calabrese venuto a Roma da oltre 15 anni, di carattere fondamentalmente timido. Con lei era però naturalmente espansivo. Gli incontri erano continuati sempre in locali pubblici fin quando lei aveva preso coraggio e aveva proposto una breve vacanza all’isola di Ponza. Arrivarono nel pomeriggio del venerdì in quel posto incantevole. Pioveva tanto, le raffiche di vento si susseguivano, eppure quel mare dal colore grigio-argento la eccitava molto. Presero in quel piccolo albergo due camere separate ma quella notte, senza quasi parlare, finirono uno nelle braccia dell’altro. Erano in quel grande letto nudi. Il rapporto fisico era stato intenso ma ora Tonino pareva non muoversi più, taceva e fumava con lunghe boccate. Livia si alzò dal letto ed in piedi con poche parole sofferte gli raccontò del suo precario amore di diciottenne. Lui farfugliò che non gli importava e subito cadde in un sonno profondo. Il resto della vacanza trascorse senza allegria. Tonino era colpito da quella novità che chiaramente non si aspettava. I suoi pregiudizi di calabrese gli impedivano di comportarsi naturalmente, Dalle scarse parole e dal modo di fare si notava in quell’uomo un imbarazzo che a lei parve fastidioso ma anche segnale che quel rapporto per lui non era precario, che insomma ci teneva.
Tornarono a Roma. Si vedevano solo la domenica, andavano a casa di Livia e si amavano a lungo. La sera un film distensivo, niente di più. Tonino non parlava mai del futuro, ma era tornato affettuoso. Livia si accontentava. Comprendeva le ritrosie di quell’uomo. Viveva in un piccolo appartamentino alla Garbatella con la madre, molto anziana e malandata. Non era facile per lui uscire da quella situazione anche perchè il suo stipendio era modesto. Ora su Livia calava l’ombra della malattia e lei passeggiava in quel viale alberato e umido di Roma riflettendo e chiedendosi  se raccontare o meno a Tonino i suoi guai. Aleggiava in lei come un presentimento. Poi disse tra sé  “Devo farmi forza, tentare una via per risolvere la mia situazione” Guadagnava poco, le sembrò naturale chiedere all’avvocato, suo datore di lavoro, un anticipo sui futuri stipendi. Lo trovò ben disposto. Quell’uomo, così freddo all’apparenza, si mostrò comprensivo, si lasciò sfuggire perfino  “Una persona seria come lei è una garanzia per il nostro studio, le verrò incontro certamente”. Passò qualche giorno, poi Livia si decise , telefonò a Tonino e gli chiese di vedersi all’indomani in una nota pasticceria sul Lungotevere.
L’uomo la guardava interrogativamente in quel bel locale mentre lei, silenziosa, intingeva nervosamente la brioche nel cappuccino bollente. Poi lui sbottò “ ma insomma Livia si può sapere cosa cavolo mi devi dire? Mi hai fatto venire fin quì per mostrarmi le tue voglie di cappuccino? Tanto valeva vederci a casa tua e passare meglio il tempo!”. Lei lo scrutò con attenzione. Dov’erano finite le sue attenzioni, la sua paziente dolcezza? Pensò per un attimo di alzarsi e andarsene. No! Doveva togliersi quel peso sullo stomaco. Disse “ Visto che fremi tanto sappi che ho una seria malattia al cuore. Occorrono cure e tanta pazienza. Forse dovrò ricoverarmi e per qualche tempo non ci vedremo”. Tonino ora la guardava negli occhi un po’ torvo. Disse qualche parola vagamente consolatoria, poi frettolosamente la salutò, doveva scappare dalla madre afflitta da febbre alta. Livia era per strada, a lunghi passi costeggiava il Lungotevere, l’atteggiamento di lui non le era piaciuto, ma forse la novità non piacevole poteva averlo sorpreso.
Passarono settimane, lui non telefonava e in ufficio era sempre fuori posto. Si decise a telefonargli a casa. Voleva chiarire quella situazione una volta per tutte. Era il tardo pomeriggio e le rispose una voce di donna anziana. Chiese se fosse in casa Tonino e la voce sgraziata soffiò “ Mio figlio non c’è, non lo trova oggi e non lo troverà domani. Sta sempre fuori! “ Lei insistette “Ma sono un’amica, devo parlargli” Sferzante fu la risposta “ Mio figlio non ha amici tra li fimmini. Vuole un consiglio? Non lo cerchi più! “ Iniziò le cure. Era sola ancora una volta. Quell’uomo si era dileguato nel momento del bisogno e lei non lo cercò più.
Era estate, ora Livia stava meglio. Pareva rinata alla vita. Frequentava un esclusivo circolo del tennis. Era stata segnalata dal suo avvocato. Qualche volta si misurava in lunghe partite di tennis con un maturo cliente dello studio. Faceva lunghe passeggiate a Villa Pamphili e gli capitava di fermarsi a chiacchierare con persone sconosciute ma sole come lei. Fu in quei viali che una domenica nel primo mattino le capitò di incontrare Tonino dolcemente abbracciato con una donna molto più anziana di lui e pesantemente truccata. L’uomo la riconobbe anch’egli subito. Cercò di abbassare lo sguardo. Sul suo volto  appariva una smorfia quasi oscena di paura che lei lo fermasse e lo compromettesse. Livia continuò ostentatamente a fissarlo ma proseguì sicura il suo cammino. Era un passato che scompariva. Aveva pagato per la sua sincerità. Forse aveva imparato qualcosa.

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