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   LA FESTA DEI MORTI
nella tradizione siciliana

di Mimma Anello

Alla commemorazione dei morti , il due novembre era tradizione nella mia città natale che questi risorgessero nella notte antecedente per recarsi a portare regali ai bambini  e rimanere così nei loro ricordi.
Alla vigilia, i genitori raccomandavano ai figli di non mettere la testa fuori dalle coperte perché in tal caso i morti potevano arrabbiarsi solleticando i piedi.
Ciascun bambino, prima di coricarsi, metteva sopra la tavola un bicchiere d’acqua affinché i defunti potessero dissetarsi per riprendersi dalla stanchezza del viaggio e, al  mattino, se il bicchiere d’acqua era pieno stava a significare che i morti erano passati ma non avevano ritenuto opportuno ne bere ne lasciare regali.
I defunti, capricciosi e bizzarri, erano soliti nascondere i doni nei luoghi più strani e reconditi della casa quindi i poveri bambini al risveglio dovevano affannarsi a cercarli  nei posti più impensati ed erano grida di gioia ad ogni ritrovamento di giocattoli o di dolci.
Per quel giorno, in tutte le case non si sentivano altro che suoni assordanti di trombette, tamburini, pifferi, zufoli e pulcinella che battevano piattini, mentre i carillon suonavano musiche varie e palle e palline colorate venivano lanciate con gioia, rimbalzando a terra o sulle pareti.
Per le bambine abbondavano bambole di tutti i tipi: di celluloide, di gomma parlanti, di stoffa ripiene di crine con la testa di porcellana e con il loro minuscolo guardaroba e altrettanti piccoli utensili persino le tazzine “mignon” per il caffè. 
La ricorrenza era anche l’occasione per il giovane fidanzato di fare un dono alla propria amata, se non c’era stata ancora l’occasione per regalarle l’anello e gli orecchini a pendant.
Questo era il momento più indicato per offrili!
Il pacchetto prezioso veniva presentato contornato di cioccolatini nel mezzo di un cestino molto fine di vimini o di cotone fatto ad uncinetto e bagnato con acqua zuccherata e poi stirato col ferro caldo in modo da renderlo consistente.
Come ringraziamento il donatore riceveva solamente un languido e dolce sguardo della fidanzata e una calda e furtiva stretta di mano sotto il severo e vigile sguardo di mamma e papà che, come due carabinieri, guardavano la coppia di fidanzati.
Sul tardi, nell’intimità familiare, seguivano i commenti e le valutazioni sul dono che passava da una mano all’altra, fino ad avere un consenso generale.
Nella confusione, poteva accadere che l’oggetto finisse a terra con grande grida e precipitazione di tutti per riprenderlo, mentre, la cameriera con varie scuse, faceva capolino alla porta per sentire e curiosare … quasi a volere dire anche la sua.
Finalmente, dopo aver ascoltati tutti i commenti, si chiudeva la discussione con il verdetto: “…Avrebbe potuto fare anche meglio”!
Grande era la mortificazione della innamorata alla quale  poco interessava il valore intrinseco dell’oggetto perché per lei aveva valore soltanto il pensiero.
Anche qualche marito si sbizzarriva nel fare regali alla moglie; qualcuno donava una bambola di porcellana vestita di seta trine e merletti e con tanto di grande cappello e, meraviglia delle meraviglie, con gli occhi che si aprivano e chiudevano.
Se la bambola si faceva trovare  in mezzo ai cuscini del letto stava ad indicare il desiderio di avere un altro figlio perché, in altri tempi, era un piacere ed un orgoglio possedere una famiglia numerosa.
Anche mio padre e mia madre all’avvicinarsi della commemorazione dei morti si vestivano di tutto punto con gli abiti migliori dicendo che andavano a parlare con i morti, invitando noi figli comportarci bene, ché in caso contrario non avremmo avuto nessun dono.
In verità i miei genitori non andavano a parlare con i morti, ma bensì con i vivi e, precisamente, con le zie monache che in tali ricorrenze avevano piacere di riempirci di regali.
Per noi bambini,  era una gran festa ricca di giocattoli,  cotognate a pezzi, biscotti di diverso tipo, frutta di martorana ( deliziosi dolcini di pasta di mandorle), pupazzi di puro zucchero che riproducevano i paladini di Francia cioè i cavalieri dell’esercito di Carlo Magno.
Tutte queste ghiottonerie che odoravano di cannella e vaniglia, uscivano dalle cucine del convento, fatte dalle mani operose e meticolose delle monache cuciniere che già da qualche mese avevano preparato i vari ingredienti.
Oltre i vari giocattoli e dolci le zie aggiungevano qualche vestitino cucito con grande amore e pazienza da una di loro che, ricordando i modelli del suo tempo, riusciva a realizzare creazioni vecchie di mezzo secolo.
La zia, sarta, era nota per le sue mani d’oro poiché specializzata a cucire tonache e scapolari e gigli per l’altare. Così i nostri vestitini venivano cuciti tra un salmo, una giaculatoria e un rosario e messi insieme al pacco dei giocattoli.
Al momento d’indossarli, però, rimanevamo incerti e sconcertati se fosse il giorno dei morti o carnevale per le stranezza del modello.
Comunque, andava a finire che nostra madre con qualche ritocco e variante di pieghe o di orli oppure con una cintura di nastro sistemata in vita con un grande nodo davanti o dietro, cercava di rimodernare i modelli per farceli indossare quando si giocava  o , come vestagliette  per casa.
Nel pomeriggio della festa dei  morti era usanza vestirsi a nuovo ed andare al cimitero a trovare i cari che riposavano nelle loro tombe per pregare e per ringraziarli  dei regali ricevuti.
Prima di varcare il cancello del cimitero si compravano dei grandi mazzi di fiori, che  venivano affidati a noi bambini  e che, noi , ci premuravamo di tenere ben  stretti al petto, ma coi loro lunghi gambi, i fiori c’impedivano la vista e dovevamo camminare alla cieca sbattendo contro chi ci stava davanti.
Dopo i rimbrotti di chi era stato urtato seguivano,  a stretto giro, dei grandi scapaccioni da parte di nostro padre che ci sgridava esortandoci a stare più attenti e non andare addosso ai passanti.
Finalmente arrivati alle tombe degli zii e nonne, non senza qualche titubanza per l’esatta ubicazione delle stesse, venivano sistemati i fiori nei vasi e, dopo una brevissima preghiera, si prendeva la via del ritorno, tutti molto stanchi: i grandi esausti  per essere stati vicini a noi nella grande folla e noi per aver portati i fiori. 
Nel riprendere la via di casa si faceva un giro più lungo per vedere la fiera dei morti.
Si passava per le strade piene di bancarelle colme di tutti i tipi di giocattoli e dolciumi e se un bambino, non avendo ricevuto il regalo preferito o mancante di quello che i defunti avevano dimenticato ( cosa che poteva accadere perché i morti  di solito sono  anziani e quindi di poca memoria) si poteva assistere ad un vero e proprio spettacolo.  Infatti, il bambino i questione, incurante di essere in mezzo alla strada cominciava a gridare pestando i piedi e facendo un gran putiferio, sotto lo sguardo incuriosito dei passanti, si lamentava a gran voce che pur essendo stato buono dentro e fuori casa e avere avuto ottimi voti a scuola, non era stato accontentato e minacciando grandi rappresaglie diceva che sarebbe diventato cattivo e non avrebbe più studiato.
Al genitore in questo caso non rimaneva altra alternativa che accontentarlo per sopperire alla manchevolezza dei morti altrimenti  il ritorno a casa darebbe diventata una  terribile via crucis con il figlio riottoso che, puntando i piedi  non voleva più camminare facendo una specie di tira e molla con il braccio del padre.
Così terminava la giornata dedicata ai morti,  in letizia per chi era stato soddisfatto e, con amarezza, per chi era rimasto deluso.
In capo a qualche settimana  nel ripulire la casa i giocattoli, quasi tutti distrutti  e resi inservibili, sarebbero finiti nella pattumiera insieme agli altri rottami  e alle cose inutili.
Dal canto loro i bambini stavano già desiderando i nuovi futuri  regali più costosi e complicati e, per essere più precisi, alcuni iniziavano a scrivere biglietti e letterine per non andare incontro a varie confusioni,  disguidi e dimenticanze per la futura festa dei morti.