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PASOLINI, UN RICORDO

di GIUSEPPE TRABACE

 

 

 

Nell’autunno del 1944 a 22 anni Pier Paolo Pasolini, con l’aiuto dell’amatissima madre Susanna, apre a Versuta in Friuli una scuola per una decina di ragazzi che all’epoca, causa l’imperversare della seconda guerra mondiale, non potevano frequentare le scuole pubbliche. Pasolini ci butta tutto il suo impegno di giovane intellettuale solitario e ad un tempo esercita la sua vena di poeta forse ingenuo ma con il lucido obiettivo di instillare in quei pochi alunni il suo coinvolgente amore per la natura di quei splendidi luoghi. Un piccolo esempio la sua poesia titolata “ Il sole e le viole “:

 

                  

 

                   Che calduccio stare al sole

                   presso l’uscio di campagna

                   pare che odorino le viole

                   lungo i cigli della via.

 

                   La via è bianca e azzurro il cielo

                   e verdina la pianura

                   c’è nell’aria come un velo

                   che avvolge campi e mura

 

                   Una voce molle,molle,

                   una voce roca,roca

                   par che nasca dalle zolle

                   e trapunga l’aria fioca

 

                   E’un fanciullo che ripete

                   la poesia sotto il sole.

                   Sulle guance rosse e liete

                   Gli occhi son due viole.

 

                   Negli anni a venire quel poeta di delicata sensibilità assumerà nuovi imprevedibili volti. Sarà l’intellettuale raffinato e controcorrente che nel 1956 fonderà, assieme ad altri giovani innovatori quali Leonetti e Roversi , la rivista letteraria “ L’Officina “ ponendo mano a una dura battaglia per la revisione del novecentismo letterario ed incentivando in tal modo il superamento di quel neorealismo e di quell’ermetismo, che avevano rappresentato fino ad allora le linee guida per i poeti e i letterati del nostro paese. Nasce tra gli anni quaranta e cinquanta in Italia un poeta dotato di un’autonoma ed originale scrittura. I suoi versi saranno nella prima fase nella tanto amata lingua friulana e in una secondo momento in lingua italiana. Copiosa la sua produzione, di cui non si possono dimenticare le raccolte di poesie inserite nelle “ Ceneri di Gramsci “ e nell’ “ Usignolo della Chiesa cattolica “. Alla poesia Pasolini dona tutta la sua passione civile, mutuata solo in parte dalla teoria marxista, ma in cui si sottende uno scarto tra sensibilità individuale e ragioni storiche. Dalla lettura di quelle poesie esce fuori la complessità, a volte la contraddittorietà, del personaggio Pasolini. L’ artista si dibatte in un dilemma che attraverserà la sua esistenza fino alla tragica morte. Egli ama la vita con disperata vitalità. Ne è prova la molteplicità di temi e interessi che sviluppa con una vis ed una qualità che ricorda certi artisti del Rinascimento italiano. Una vitalità che si esprime anche ponendo sotto gli occhi di tutti – a volte facendone una bandiera- le sue scelte omosessuali, per cui pagherà prezzi incalcolabili. Infine su tale onda si batte con coraggio e in assoluta buonafede- spesso in splendido isolamento- contro le tante ingiustizie sociali e le discriminazioni che attraversano quel periodo storico. In contraddizione quest’uomo così vitale è attanagliato fin dalla gioventù dalla consapevolezza della caducità del vivere e da funesti presagi di morte. L’uomo e l’artista sono imbevuti da questo tormento che trova una parziale attenuazione, almeno fino agli anni sessanta, in una concezione religiosa della sacralità della vita.

         Nonostante questi limiti Pasolini “ inventa “ nei primi anni del 1950 un nuovo modo di creare arte, Nasce il romanziere con l’opera del 1954 “ Ragazzi di vita “. L’artista, che si è trasferito a Roma nel 1950, cala il suo romanzo nella triste e degradata realtà delle borgate romane. In quegli anni- ma il fenomeno continuerà fino alle soglie degli anni novanta- un gran numero di persone poverissime, spesso senza lavoro, trascinano la loro esistenza cercando con ogni mezzo, anche illegale, di sopravvivere. Esse si ammucchiano nelle periferie di Roma, vivono in case fatiscenti o,peggio, in primitive baracche di legno tra vicoli maleodoranti e sevizi inesistenti. I giovani sono le prime vittime di quel degrado, la sopravvivenza a qualsiasi costo è il loro credo. Essi coprono i loro problemi sfoggiando una maschera di indolente sufficienza o di cinica indifferenza verso gli altri. Pasolini scopre quel mondo- descrivendolo come un inferno sulla terra- aiutato nelle sue peregrinazioni nelle periferie dall’amico borgataro Sergio Citti. Nel romanzo adotta, sempre su indicazioni del Citti, il linguaggio aspro e scurrile di quei luoghi, nell’obiettivo di una presa di coscienza collettiva di quella realtà e dell’umanità che la soffre ma anche di porre in rilievo una diversità sociale, quasi antropologica. Alcuni critici letterari di grosso nome e parte dei lettori si rivoltano contro quel modo di scrivere, non accettando la cruda descrizione di un sottobosco umano che forse è meglio ignorare. Lo scrittore non demorde, la sua è una scelta di vita, le sue lunghe peregrinazioni, anche notturne, nella periferia poverissima di Roma segnano anche la sua vita privata, spesso percorsa da pulsioni omosex incontrollabili, ma  fanno emergere altresì le sue qualità di letterato schierato sul fronte del riscatto sociale degli emarginati. Il 1959 è l’anno in cui pubblica il suo secondo romanzo “ Una vita violenta “. L’ambientazione è sempre quella delle borgate romane, il protagonista è Tommaso Puzzilli, un giovane di 17-18 anni che subisce tutti i condizionamenti di quel contesto. I suoi comportamenti sono violenti, il suo modo di esprimersi volgare, pare perdersi, eppure in quel giovane vivono elementi di altruismo e solidarietà umana. Non esiterà a soccorrere i suoi  vicini baraccati sotto l’infuriare di una tempesta e questo gesto gli costerà la vita. Il romanzo, pur potendosi definire contraddittorio come il suo autore, coglie nel segno allorquando disegna con crudo realismo la vita di persone ai margini della cosiddetta società civile ma ad un tempo delinea la voglia di alcuni di essi di riscattarsi moralmente sia pure nei limiti del loro vissuto. I nemici di sempre continuano ad attaccarlo, a partire da alcune gerarchie del Vaticano e da intellettuali di quel Partito comunista italiano, cui egli faceva da sempre riferimento senza esservi peraltro iscritto. A volte l’intellettuale, che pure può vantare l’amicizia sincera di colleghi come Alberto Moravia, Elsa Morante e Carlo Emilio Gadda, è soggetta a persecuzioni astiose e crudeli. Subisce processi, viene accusato perfino di rapina in una discutibile e farisaica identificazione tra lo scrittore e i personaggi dei suoi romanzi. Tutto finisce nel nulla ma Pasolini per parte dell’opinione pubblica di quel periodo- sviata da un certo tipo di giornali scandalistici- è un uomo da condannare senza  pietà, al di là delle sue effettive colpe.

        Già a metà degli anni cinquanta Pasolini sente l’esigenza di parlare più direttamente al pubblico, di trasmettere visivamente attraverso il mezzo cinematografico tutto quel magma di idee, di riflessioni che gli turbinano dentro e gli danno vitalità e disperazione.

Inizia brillantemente come sceneggiatore del regista Mauro Bolognini  cui “ impone “, sia pure in parte, le sue tematiche preferite nei  

film “ La notte brava “ e il “ Bell’Antonio “. Cura i dialoghi romaneschi del capolavoro di Federico Fellini “ Le notti di Cabiria “.Il grande regista romagnolo stringe amicizia con l’artista geniale e con sana ironia lo definisce “ possiede saggezza da padre priore e estro da folletto lunare “  Nel 1961 ecco il gran passo di Pasolini alla regia cinematografica. Con originali intuizioni figurative la  trama tratteggia la figura di uno sfruttatore di prostitute, Accattone. Egli trascina la vita in una misera borgata romana ben conscio della  “infamità “ della sua esistenza, ma circondato da amici cinici e scanzonati  che tirano la vita commettendo furti. Ad un tratto Accattone ,che pure ha abbandonato la moglie e un figlio, incontra un’ingenua ragazza Stella e cerca con abili maneggi di trascinarla verso la prostituzione. L’imprevisto è che quest’uomo,in apparenza perduto, si innamora di Stella. La sua vita ne viene sconvolta, tenta di lavorare onestamente ma la fatica è troppa per lui  che ha vissuto sempre nell’ozio. Non c’è che ricorrere agli amici di sempre e improvvisare qualche furto. La fortuna non l’aiuta, perderà la vita mentre fugge per non essere catturato dalla polizia e nello spirare pronuncia la frase: “ Mò sto bene “. Accattone  è un personaggio mirabilmente descritto da Pasolini, un reietto della società ma che pure ha l’esigenza insopprimibile di provare sentimenti sinceri verso  un’innocente. L’ambiente che lo circonda e lo condiziona è spietato e nel momento dell’inizio di un suo riscatto non può che trascinarlo verso la morte che pure per Accattone rappresenta la liberazione. Film dai molti risvolti ma girato con una semplicità che stupisce, con attori presi dalla vita ma dai volti di una realtà sconvolgente, con una colonna sonora originalissima composta da raffinate musiche di Back in netto contrasto con la volutamente squallido habitat.  Il film, per tanti un capolavoro, divide il pubblico ma riesce a ridare vitalità al cinema italiano impegnato dopo i successi  del neo realismo negli anni quaranta e cinquanta.Ormai è un regista affermato e l’anno dopo gira “ Mamma Roma”, storia di una matura prostituta che abbandona il mestiere per dedicarsi al figlio adolescente e un po’ sbandato. Tanta la voglia della madre di aiutare il giovane ma il cupo mondo della borgata attira nelle sue spire quel giovane  fino a fargli perdere la vita . Il volto sofferente della madre nell’apprendere la ferale notizia resterà impresso nella mente dello spettatore come simbolo di un dolore che non può trovare consolazione. Straordinaria è l’interpretazione di Anna Magnani nel ruolo della madre ma il film, pur inferiore al precedente “ Accattone “, svolge un discorso coerente sulla difficoltà di un riscatto da parte di chi, sia pure in un contesto difficile, ha sbagliato. La carriera di Pisolini nel modo del cinema prosegue sempre ad un livello alto come quando nel 1964 dirige “ Il vangelo secondo Matteo “. L’apostolo Matteo racconta in modo semplice ed efficace la vita di Gesù Cristo e questo attira l’ ” arrabbiato “ Pasolini. L’esposizione di Matteo non viene tradita nel film, piuttosto i toni sono più forti, il figlio di Dio nel suo messaggio di amore verso l’umanità appare nella visuale del regista come un rivoluzionario che vuole cambiare nel profondo e ad ogni costo uomini e cose. La chiesa, che non dimentichiamo è quella del Concilio, per grande parte condivide sostanzialmente l’impostazione data al film da Pasolini, gli sono vicini in primo luogo i frati francescani di Assisi. Nel film inaspettatamente di intravede il senso religioso che attraversa l’esistenza di quest’uomo non facilmente classificabile. Pasolini tenta altre vie in un’ansia di rinnovamento nel modo di inventare cinema. Nel 1965 dirige  una favola surreale sul tramonto del marxismo “ Uccellacci e uccellini “. I toni sono ironici ma in realtà  il regista mostra la sua delusione  per i suoi ideali politici forse traditi. Al protagonista, un borghese squallidamente perbenista, presta la sua inimitabile maschera Totò, che con maestria riesce a mescolare toni farseschi a espressioni di una crudeltà inaspettata. Il film non viene apprezzato dal pubblico che lo ritiene astratto e poco comprensibile ma va analizzato storicamente come uno dei primi approfondimenti di un intellettuale di sinistra degli anni 60 sulle inadeguatezze delle teorie marxiste. La strada del regista prosegue con film che si rifanno ai miti antichi e quindi alle grandi tragedie greche  come “ Edipo re “ e “ Medea “. L’ indubbia inventiva porta il regista ad ambientare tali tragedie rifacendosi a luoghi e tradizioni del sud  del nostro paese. Ritorna su temi favolistici e religiosi che toccano il tema della difficoltà del vivere mantenendo l’innocenza con l’ottimo film “ Teorema “. Proseguirà con altri tentativi, non sempre riusciti, sempre rispolverando testi classici quali “ Il Decamerone “ e “ I racconti di Canterbury “ Forse il regista va oltre le righe non sottraendosi dal girare scene fin troppo esplicite di nudo o di rapporti sessuali. Il suo fiuto coglie peraltro il momento storico. Siamo negli anni 70 e battono alle porte i problemi della liberazione sessuale, dell’emancipazione femminile mentre il movimento femminista si impone all’attenzione generale. Purtroppo quel che di valido Pasolini esprime con questi film battendosi contro una censura non aliena da ottusità viene rovinato da pessimi imitatori che danno il via a pellicole di bassissimo livello in cui imperano le “ Ubalde tutte nude e tutte calde “ e via continuando. Alle soglie della morte Pasolini all’inizio del 1975 dirige “ Salò “ in cui vengono descritte, con sequenze agghiaccianti, le torture inflitte dalla canaglia fascista ai partigiani nel periodo della repubblica di Salò. L’artista pare sempre più ossessionato dai suoi demoni, la speranza nel futuro dell’uomo si è affievolita, l’Italia gli appare sempre più stretta nelle angustie del conformismo e dell’inadeguatezza, un tanfo di morte ammorba la visione di quel film. Un the end funesto per un regista che complessivamente ha segnato la storia del cinema italiano.

        Nasce, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, il Pasolini  giornalista- polemista. In quegli anni quasi ogni giorno sulla prima pagina del Corriere della Sera appare un suo editoriale che, come ogni prodotto dell’artista, provoca calorosi consensi e forti dissensi. Pasolini affronta i temi più scottanti che segnano la società di quei tempi, come al solito senza fare sconti a chicchessia. Tra i suoi “ nemici ” preferiti “ c’è la Democrazia Cristiana, un partito che lui ritiene sclerotizzato dall’esercizio del potere da oltre 20 anni , arcaico difensore della borghesia italiana egoista e perbenista e con i suoi uomini più rappresentativi  inquinati  da fondati sospetti di corruzione.Le sue battaglie giornalistiche sono tante e incisive. Va ricordata la sua coraggiosa denuncia dei nefasti effetti di un consumismo  naturalmente portato col passare del tempo a introdurre nell’uomo bisogni sempre più superflui, affievolendo principi e ideali. Una profezia che ha un triste riscontro pure ai nostri giorni facendoci rimpiangere- come per l’appunto scrisse Pasolini-  il costume e la società  degli anni trenta e quaranta, quel mondo arcaico in cui erano intatti certi valori di fondo e in cui nelle sere d’estate le campagne erano ancora illuminate dalle lucciole. Una provocazione certo ma che attirò su Pasolini gli strali dei tanti con interessi contrapposti e anche dello stesso partito Comunista italiano, timoroso di un rimpianto di un passato che riteneva non lo riguardasse.Nel 1968 durante gli scontri all’università di Roma tra studenti e polizia a Valle Giulia Pasolini prende, contro ogni previsione, le parti dei poliziotti “ figli del popolo “ e condanna gli studenti viziati e prepotenti. Ribalta in tal modo tutto un modo di pensare di quegli anni del mondo della sinistra attirandosi esplosioni di odio esagerate anche perché lui non condanna la protesta giovanile in sè ma le distorsioni di essa.

        Ormai Pasolini nei primi anni del 1970 è un personaggio di primo piano della cultura nazionale e internazionale, uno dei maitre a penser del costume  Accanto ai tanti ammiratori e seguaci vi sono gruppi di opinione che non cessano di contestarlo duramente, anche sul piano strettamente personale, con il chiaro intento di togliere dalla scena un uomo che, sia pur talvolta sbagliando, ha tirato fuori dagli armadi i tanti scheletri di una società politico-culturale che si rifiuta di riconoscere i suoi errori. Se l’intellettuale continua ad operare con la consueta alacrità, l’uomo Pasolini è profondamente deluso e pessimista. Capta attorno a sé questo alone di odio, ne è turbato, forse prostrato. In questo clima avvelenato va posto il crudele omicidio dell’artista. Il 2 novembre 1975, nell’ambiente degradato dell’Idroscalo di Ostia, nel cuore della notte, Pasolini si apparta con il “ ragazzo di vita “ Pino Pelosi e ne viene barbaramente ucciso a seguito di un litigio. Il giovane delinquente confessa subito dopo l’omicidio e la sua versione, pur non convincente in più punti, viene accolta prima dagli inquirenti e poi dai giudici. La sentenza di condanna è mite ma i dubbi restano anche se sono trascorsi trent’anni. Ai primi di quest’anno Pelosi in una trasmissione televisiva ha svelato che contro l’intellettuale fu architettato un agguato da più persone, consapevoli che Pasolini, causa le sue tendenze omosessuali, era uso a frequentazioni notturne con giovani sbandati. Il vero movente,ove fosse veritiera tale ultima versione, Pelosi non ha potuto o voluto svelarlo. Al di là di ogni illazione il far tacere la voce  di Pasolini ha ferito la cultura di questo paese che sente in qualche modo la mancanza di un intellettuale di grande qualità, libero, non condizionato da nessuno e che ha pagato, più del dovuto , le sue incertezze e i suoi errori.

        Ci siamo avvicinati in piena modestia al personaggio Pasolini. Il nostro è stato un racconto non esaustivo ma solo per flash.

In conclusione, per controbattere a certe tesi- forse superficiali- sulla creatività di questo intellettuale che sarebbe dovuta , quasi esclusivamente, al suo status di omosessuale riteniamo equo riportare quello che Pasolini testualmente disse al riguardo nell’ottobre 1975 alle soglie della sua morte:

“ Sono vent’anni che la stampa italiana,e in primo luogo la stampa scritta, ha contribuito a fare della mia persona un controtipo morale, un proscritto. Non c’è dubbio che a questa messa al bando da parte dell’opinione pubblica abbia contribuito l’omofilia, che mi è stata imputata per tutta la vita come un marchio di ignominia particolarmente emblematico nel caso che rappresento. Il suggello stesso di un abominio umano da cui sarei segnato, e che condannerebbe tutto ciò che io sono, la mia sensibilità, la mia immaginazione, il mio lavoro, la totalità delle mie emozioni, dei miei sentimenti e delle mie azioni a non essere altro se non un camuffamento di questo peccato fondamentale, di un peccato e di una dannazione……………Vorrei mi spiegassero perché in trent’anni che scrivo nell’ambito della letteratura, e di questa stampa, praticamente nessuno si è avveduto di quanto fosse contraddittorio sostenere che tutto ciò che creavo fosse contemporaneamente il frutto di un’immaginazione astratta, irrealistica, e quello di un’esperienza abietta e obbrobriosa. Come mai non hanno capito che il diritto dello scrittore a dire tutto presuppone il dovere di inventare tutto, in altre parole di cogliere la verità, tutte le verità, senza per questo compromettersi nell’esperienza dell’abiezione “.

        Oggi a trent’anni dalla morte occorre un riflessione su ciò che Pasolini ha rappresentato nel 1900 per la cultura italiana sfrondando, per quanto possibile, le vicissitudini della sua vita tormentata.

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