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Un Natale così

di Giuseppe Trabace

 

Otello quella sera del 24 dicembre era stanco. Aveva corso tutto il giorno per portare  al domicilio dei clienti del sor Augusto la spesa di Natale. Nonostante fosse da tempo passato il 2000 lui, secondo usanze ormai antiche, continuava a cinquant’anni suonati  a fare il garzone in quella vecchia salumeria nel quartiere romano di Testaccio. Il lavoro gli piaceva. I clienti, per la maggior parte anziani, lo accoglievano a volte con cordialità. Ci scappava – solo raramente per la verità - un bicchiere di vino d’inverno e una birra gelata d’estate quando lo vedevano arrivare un po’ ansimante con i suoi pacchetti per quella brutta asma che lo perseguitava fin da quando era ragazzo. Capitavano pure le giornate storte. C’era chi gli strappava la roba di mano e rinchiudeva subito la porta senza nemmeno salutare, chi si arrabbiava con il tempo molesto o contro i figli ingrati o imprecava stolidamente verso Dio. Lui uomo pacifico restava interdetto, spesso addolorato. Per quest’uomo solo, senza un parente nemmeno lontano, questo lavoro era la sua ragione di vita. Oltre al guadagno per sopravvivere lui si sentiva felice quando poteva scambiare  qualche parola con quei clienti e si sentiva oltraggiato dinanzi all’indifferenza o alla volgarità. Il padrone del negozio, il sor Augusto, non gli voleva male. Lo aveva sempre pagato puntualmente in quasi trent’anni. Tanto tempo prima  si trattenevano,  alla fine della giornata lavorativa, a parlare del più e del meno. Quasi sempre il padrone si lamentava dei tanti grattacapi che gli dava la sua numerosa famiglia. Moglie e suocera lamentose, i sei figli disobbedienti ed eternamente in cerca di soldi. Ma quei tempi erano passati, il negozio ora rendeva poco, rischiava di chiudere in quanto a pochissima distanza era spuntato come un fungo un grande supermercato. Il sor Augusto si era trasformato. Si era chiuso in un quasi completo mutismo da cui usciva per imprecare verso qualche cliente lento a pagare o per rimbrottare con la bava alla bocca il buon Oreste anche per un minimo ritardo nelle consegne.

         Quel giorno della vigilia le cose andarono peggio del solito. Erano le nove di quella fredda e scura giornata, saliva le scale  per portare un pesante pacco natalizio ad un vecchio cliente, avvocato ricco e affermato. Sentì delle urla di una donna che riconobbe come la bella moglie del professionista. La signora imprecava rabbiosamente rivolta verso una donna che, a suo dire, le aveva risposto male. Egle, l’accusata, indossava un grembialone bianco e sul pianerottolo dell’appartamento appoggiata ad un muro piangeva sommessamente. Oreste le si avvicinò premuroso chiedendole se potesse fare qualcosa e la donna, sui quarant’anni, con un forte accento veneto spiegò "Santa Vergine, no gò fato nulla, la signora ce l’ha su con migo parchè a stà ora non ho ancora preparato i tortellini per il Santo Natale, io le ho solo detto che occorreva finissi di preparare altro mangiare per la sera della vigilia……….. e lei ha sbattuto fora de casa me che son sola e non cognoscio nessuno!". Oreste prese con dolce pudore la mano della cuoca ma si sentì investire da un torrente di parole della signora “ Ma guarda un po’ cosa si deve vedere ! Il ragazzo del salumiere che si erge a difensore di questa brutta maleducata che mi sta facendo saltare il pranzo di Natale. Ma lei non si rende conto di quant’è ridicolo, pensi piuttosto a lavorare e non si impicci ! “ Oreste lasciò il cesto sul pianerottolo, prese per un braccio la donna ancora piangente e la portò in una pensioncina poco distante, versando di tasca sua un anticipo. La consolò, la tranquillizzò, poi corse via per continuare il suo lavoro. Il sor Augusto notò il ritardo di lui. Lo guardò torvo, poi “ Ah Orè me pare che m’hai preso pè  fregnone, eh già credi d’avecce er posto sicuro e perciò te la prenni commoda. Te sbaji, Fà  che passà stà festa e, nun ce crederai, ma rivedemo tutto!". Oreste abbassò il capo, tutto il giorno lavorò di gran lena.Tutti i prodotti di quel negozio erano buoni ed i prezzi abbastanza onesti, eppure alcuni clienti lo trattarono con durezza o con sufficienza dicendo che come al solito il suo padrone aveva rincarato i prezzi con le feste. Lui deglutì amaro, non rispose, continuò il suo giro fin quasi le otto di sera.

Era sfinito, quasi affranto, eppure telefonò dall’abitazione del vicino di casa alla pensione, chiese di Egle. Gli dissero che stava meglio ma che si era chiusa in camera. Ora era solo, gli pareva che tutta quell’insofferenza, quell’astio che aveva respirato in quel giorno gli calasse addosso come una cappa di piombo. Nel buio pensò alle notti di Natale della sua infanzia, a quella tavola attorno a cui sedevano gioiosi i genitori, i nonni e gli zii e sulla quale erano posati piatti colmi di pietanze buonissime…………….Ora non c’era più nulla, quelle persone erano scomparse, sul tavolo di cucina c’era un po’ di frittura di pesce già fredda offertagli poco prima, quasi di nascosto, dalla moglie del corrucciato padrone. Non toccò nulla, andò a letto, i suoi sonni furono agitati. Camminava da solo di notte, attraversava una Piazza Venezia completamente deserta. Ad un tratto il suo padrone a braccetto  con la moglie dell’avvocato gli si facevano incontro, lo guardavano con compassione e gli dicevano in coro “ Ma lo sai o no frescone, che il Natale non c’è, non è mai esistito, ce stai solo tu che ce credi ancora  “. Lui scappava ma sentiva un’oppressione tremenda sul petto. Si svegliò,  il suo solito attacco d’asma. Guardò la grossa sveglia, erano quattro del mattino del 25 dicembre e lui non vedeva l’ora che quel giorno di Natale passasse.

Alle otto di mattina era già vestito ed uscì, sotto un freddo pungente, dalla sua casa al quartiere San Paolo. Dopo pochi minuti incontrò un amico di gioventù perso di vista da tanti anni. Stentò a ricordarne il nome, ma sì era Tonino Rossetti, avevano giocato a pallone tante volte ai campi del Testaccio, vincevano sempre o quasi. Tonino lo riconobbe subito, lo abbracciò con calore, gli disse che l’aveva cercato invano per tanto tempo dopo che si era trasferito con la sua famiglia nel quartiere di Montesacro. Oreste gli spiegò che era solo da tanti anni, che non aveva neppure il telefono….. Tonino, un uomo alto, elegante, con un bel volto incorniciato da una barbetta grigia tuonò con la sua voce potente “  Oreste mio è il giorno di Natale, quale migliore occasione per venire a pranzo da me? Siamo in cinque con mia moglie e i tre figlioli, non mi dire no o me la prendo a male. Voglio sapere tutto di te ! “ Oreste cercò di sottrarsi, temeva di intromettersi, di disturbare ma gli bastò guardare negli occhi Tonino e comprendere quanto quella rimpatriata gli facesse piacere.

Si lasciarono dopo che l’amico gli lasciò in bigliettino da visita con l’indirizzo. Continuò la sua lunga passeggiata  sotto un sole che si era affacciato con prepotenza dalle nuvole. Era in Piazzale Ostiense, imboccò via Marmorata già rumorosa per il solito traffico, quando ecco incrociò il Sor Augusto. Era in compagnia della simpatica consorte sora Nina. Lei lo salutò con un largo sorriso e gli strinse calorosamente la mano. Il marito si fece rosso in viso, era in grande imbarazzo. Non ne potè più, soffiò a voce insolitamente bassa "Amico ieri sò stato proprio un puzzone cò tè, ero incavolato pè mio fijo Peppe che m’aveva poco prima risposto male, eppoi lo sai stì clienti te vengono spesso a fastidià cò le loro fregne…..Basta damme un bacio, nun te cambierei cò nessuno e la sera de fine anno la passamo assieme eh!". Oreste ora aveva un groppo alla gola, disse al suo vecchio padrone che per mandarlo via da quel negozio doveva usare la forza, che a San Silvestro non sarebbe certo mancato.

Continuò a camminare, sostò davanti alla chiesa di Santa Maria Liberatrice, esitò un attimo, entrò. Ora guardava quel bambinello, non aveva mai cessato di credere nel buon Dio ma pure qualche domenica si era dimenticato di lui. Ecco perché quel Natale non lo aveva sentito, lo scoramento che gli era preso era anche dovuto alla sua fede forse vacillante. Si raccolse in preghiera, quando uscì dal luogo sacro sentì che quei brutti pensieri della sera avanti si erano dissolti  

Era quasi  la mezza, ad un tratto si sentì un egoista. Ma come in un giorno come questo aveva dimenticato la povera Egle,  sola in quella modesta pensioncina. Era ad un centinaio di metri di distanza ed Oreste a passo svelto vi si recò. Bussò alla porta della sua stanza e ad un "Vegna avanti" della donna entrò con decisione. Egle si spaventò, lui la tranquillizzò con poche semplici parole “ Mi scusi della furia, ma me sentivo in colpa per averla dimenticata. Forse è anche a causa mia che lei ha perso il lavoro, non me piace vedè l’altri soffrì per la cattiveria umana. Ma stia  tranquilla, lo so che lei cià le mani d’oro ed un posto, con l’aiuto del mio padrone, lo trovamo, e proprio quì al Testaccio". Egle lo guardava con ammirazione, pensava quant’era difficile incontrare nella vita un uomo così. Oreste colse quello sguardo, lo ricambiò con altrettanta intensità. Uscirono in strada, lui le propose di accompagnarlo a casa di un caro amico per il pranzo di Natale, lei si schermì, poi accettò. Poteva essere l’inizio di una storia tra due persone sole.