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CONVINCE PUPI AVATI CON "LA CENA PER FARLI CONOSCERE"

PATERNITA’ PRECARIA

di Giuseppe Trabace

 


Il cinquantenne Sandro Lanza, attore di mezza tacca di film commerciali e di fiction televisive, è avviato sul viale del tramonto. Eccolo ospite d’onore di uno dei tanti scadenti contenitori televisivi Intervistato da uno squallido presentatore sul suo excursus professionale, l’attore, in uno scatto di sincerità, confessa un suo sogno ricorrente. Il famoso regista Pietro Germi gli chiede di essere il protagonista di un rifacimento del suo grande film “Divorzio all’italiana“. In questo sogno ci sono tutte le speranze frustrate di un attore che si sforza di illudersi e si rifugia nell’onirico anche perché ha poco da ricordare sul suo percorso umano. Questa la chiave del film di Pupi Avati "La cena per farli conoscere", malinconica storia di un uomo, eternamente immaturo, deluso nella sua professione, ma che pure tenta un difficile recupero.

Lanza, in un istinto di sopravvivenza e nella speranza di far rinascere un rapporto d’amore finito, si sottopone a Parigi ad un intervento di plastica facciale per recuperare l’avvenenza perduta ma i risultati sono pessimi. Disperato chiede soccorso a Ines, una figlia, affermata intellettuale, che per vecchi trascorsi familiari non lo ama. Un aiuto a stento glielo dà, ma la situazione non si risolve. L’attore ha altre due figlie, tutte concepite con madri diverse Una con professione di medico, è sposata in Spagna con un altro medico semi alcolizzato. L’altra  vive a Roma sposata con il figlio viziato di un importante editore. Tutte tre sono lontane da un padre che a suo modo le ama ma che per la sua vita precaria e per l’egocentrismo proprio suo lavoro le ha sempre trascurate. Cesare non riesce a districarsi più e tenta il suicidio. Ora le tre figlie sono riunite perché in qualche modo il padre va seguito. Ognuna di esse ha un carico di problemi non facilmente risolvibili, decidono di trovare una compagna per quell’uomo solo e programmano  una cena per far incontrare i colombi. Un atto forse suggerito dall’egoismo ma anche dalla voglia di aiutare quell’uomo ormai indifeso. Alma giunge alla cena semi ubriaca, straparla, confessa di avere sempre amato quel Cesare incontrato da ragazzina ad una manifestazione. L’attore  osserva con comprensione, come in uno specchio, quell’essere umano in crisi per il convivente che l’ha abbandonata senza riguardi, lei è ancora più sola di lui che bene o male ha le figlie che lo assistono. La donna sta male, lui l’assiste dolcemente, poi la riaccompagna a casa. Si chiariscono, fra loro due, entrambi alla deriva , non può nascere un legame amoroso ma possono capirsi. Lei gli confida che la figlia Ines è afflitta da un tumore e che a giorni dovrà sottoporsi ad un intervento chirurgico. Forse per la prima volta Cesare sente l’esigenza di aiutare quella figlia sofferente e decide, nonostante le resistenze della stessa Ines, di seguirla a Parigi per starle accanto in quel momento difficile. Ines uscirà fuori dal tunnel della malattia, quelle figlie vedranno finalmente in quell’uomo superficiale una  persona più vicina. E’ forse il momento che quella famiglia trovi un punto di coesione, ma la morte coglie improvvisamente Cesare. Quest’uomo lascia ben poco della sua esperienza di attore, forse però, nel suo umano tentativo di recupero, è riuscito a creare un legame più saldo tra le tre sorellastre.    

Pupi Avati, sensibile e conosciuto autore nostrano, riesce con questo buon film a ritrovare quei toni malinconici e soft che gli sono propri dopo alcuni film dell’ultimo periodo che avevano convinto meno. La descrizione del mondo dello spettacolo dei nostri giorni è credibile. La scena di apertura del film, pur nello stile contenuto voluto dal regista, non risparmia colpi, dagli attori ridotti a ripetere all’infinito nelle fiction personaggi stereotipati a tutto quel bestiario televisivo artificioso che trova le sue travi di appoggio, in un bagno di preoccupante incultura, nella pubblicità vera o occulta. La famiglia, così detta libera, piena di contraddizioni con non poche difficoltà nel vissuto quotidiano, viene filmata senza compiacimenti. Riserve si esprimono sulla descrizione approssimativa di alcuni personaggi di contorno o per alcune situazioni della sceneggiatura un tantino ovvie o scontate (ad esempio il brutto male da cui è afflitta Ines). Le musiche del musicista Riz Ortolani sono azzeccate e particolarmente piacevoli. Avati, come sempre, dirige da maestro attori non tutti di primo piano. Su tutti, in sorprendente simbiosi con la linea voluta dalla regia, spicca l’interpretazione del lombardo-pugliese Diego Abatantuono. Attore di razza, quando non si caccia in operazioni commerciali, ci dà un ritratto a tutto tondo del protagonista, ci mette la sua innata ironia ma sorprende quando indulge a sofferti, ma sobri, toni malinconici. E’ prevedibile che raccolga premi nelle varie manifestazioni promosse dal nostro cinema. Nel variegato ruolo di Alma Francesca Neri è particolarmente brava nel descrivere le crisi di  una donna della nostra epoca. Tra le tre figlie, tutte affascinanti, la palma spetta alla solare spagnola Isabella Incontrada che disegna con efficacia il suo contraddittorio personaggio. Una segnalazione per Fabio Ferrari, che caratterizza abilmente un arrogante riccone afflitto da manie erotiche per il gentil sesso.

            Lo consigliamo a chi ama un cinema non urlato e che fà presa sui sentimenti.

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