Torna a indice

 

Perché voto NO al referendum del 25 e 26 giugno 2006 

 

Quando nel 1953 mi sono iscritta alla facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Roma ho frequentato con molto interesse le lezioni di Diritto Costituzionale del professor Carlo Esposito di cui mi è rimasto un bellissimo ricordo. Ci faceva delle vere e proprie conferenze sulla Costituzione e ci teneva molto che andassimo alle sedute della Corte Costituzionale ad ascoltare i Giudici durante le sedute. Una volta alla settimana era ammesso il pubblico.

Conoscevo quasi a memoria la prima parte della Costituzione italiana e avevo capito lo sforzo che era stato fatto dai rappresentanti degli italiani per compilarla. E' nata dalla collaborazione fra culture diverse in un momento in cui l'obiettivo fondamentale era di non  fare ritornare il comando ad un uomo solo e di lasciar governare una sola parte politica, impedendo così alle altre di parlare. La nostra Costituzione è contro la concentrazione del potere. Quando ho letto il modo in cui era stata  manomessa sono rimasta impressionata negativamente!

La Costituzione che ci governa dal 1948 è stata cambiata dal passato Governo e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Non è ancora entrata in vigore perché in base all'articolo 138, un milione di cittadini si è riservato il diritto di respingerla con il referendum. Perciò dobbiamo partecipare attivamente alla vita del paese e scrivere “NO” sulla scheda il 25 e 26 giugno. Così non deluderemo quei cittadini che si sono

mobilitati per raccogliere un milione di firme e daremo una nuova vita alla Costituzione e quindi anche ai beni ed ai valori che essa porta con sé. Avremo il suo ritorno e la potremo riformare  in futuro con un metodo che preveda intese più ampie rispetto ad un voto di maggioranza. Le riforme vanno fatte insieme, occorre ristabilire fra tutte le parti il dialogo necessario a riaffermare uniti le ragioni e le fondamenta della democrazia, perciò bisogna costruire dei "ponti"!

Per noi italiani la votazione sarà di grande responsabilità, perché per la prima volta dal 1946 il potere costituente torna al popolo. Questa chiamata alle urne non è pertanto una prova elettorale come le altre, si tratta di un referendum assolutamente eccezionale in cui i cittadini, divenuti essi stessi costituenti, devono decidere di nuovo dell’identità e del futuro della Repubblica.

Quello che fu stabilito dall’Assemblea Costituente nel 1946-1947 è oggi  rimesso in questione. In quella decisione confluirono la cultura cattolica, quella comunista e socialista (allora strettamente unite) e quella laico-liberale. E' stato un incontro ed una sintesi felice perché l’intera Costituzione è risultata perfettamente coerente con le diverse ispirazioni, è diventata di tutti ed ha compiuto il miracolo di unificare l’Italia. I cittadini sono passati dalla arretratezza alla modernità, dalla miseria diffusa all'abbondanza, dalla dittatura alla democrazia e dalla guerra, che fu ripudiata, ad una lunga pace, Le ineguaglianze  furono rigettate e sostituite da una antropologia della pari dignità umana, per costruire un ordinamento di giustizia e di incontro.

Bisogna perciò difenderla e rivendicarne i contenuti, perché l’Assemblea Costituente fissando i principi e le norme, ci ha lasciato un grande patrimonio che evoca i più alti valori della vita cristiana. Dal fondamento del lavoro su cui è fondata la Repubblica alla centralità della parola che si esprime nel Parlamento. Dal primato della pace alla conversione dei poteri in funzioni e servizi per il bene comune. Dalla pacificazione con la Chiesa cattolica alla laicità e alla libertà religiosa.

Nell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII la Costituzione, come carta dei diritti e regola dei rapporti tra cittadini e poteri pubblici, fu celebrata come un “segno dei tempi”, cioè come una delle conquiste storiche in cui costruzione umana e ordine voluto da Dio si parlano e si incontrano.

Se nell'ordinaria vita politica i cristiani sono presenti e agiscono senza esibire la loro peculiare identità, vi sono circostanze che possono esigere un atteggiamento diverso. Quando, come in occasione di questo referendum, sono in gioco  i fondamenti stessi ed i valori supremi della convivenza civile, non c’è ragione per cui i cattolici non debbano assumere le difese della Costituzione, impegnandovi tutta la loro responsabilità.

Del resto, se nella storia del nostro Paese le tradizioni del cristianesimo democratico e sociale hanno svolto, in diverse forme, un ruolo di rilievo, oggi i cattolici debbono tutelare la Costituzione, perché, sebbene non  siano stati  toccati i diritti fondamentali della prima  parte, è stata aggredita la seconda parte.

Voglio chiarire che  le due porzioni della Costituzione sono speculari e necessarie l’una all’altra. La prima mette in evidenza i diritti ed i doveri del cittadino nella sua individualità in rapporto alla famiglia ed alla scuola, alla sfera economica ed a quella più ampia del mondo politico. Il primo articolo proclama la sovranità popolare, per svilupparsi poi nella definizione degli altri istituti in cui coerentemente doveva concretarsi l’organizzazione statale unitaria della società. La seconda, in base allo stesso schema, comincia col Parlamento ed è l'attuazione, lo strumento e la garanzia della prima parte.

Nella riforma varata dal centrodestra, sotto il nome di "devolution", questo rapporto viene rotto, il Parlamento è travolto, la vita della Camera è condizionata a quella del Governo. La rappresentanza popolare è smembrata in una maggioranza dotata di tutti i poteri ed in una minoranza senza diritti i cui voti nemmeno verrebbero contati nelle votazioni di “sfiducia costruttiva”.

L’unità nazionale, che comporta pari opportunità per tutte le regioni, è compromessa e gli istituti di garanzia sono snaturati e mortificati. In particolare il Presidente della Repubblica non avrebbe neanche il potere di salvare la Camera dallo scioglimento che il Primo Ministro potrebbe decretare in ogni momento mandando a casa i deputati a suo piacimento.

Verrebbe istituita la figura sovrana ed incondizionata del Primo Ministro, vero padrone “determinante” della politica nazionale e dell'intero Paese.

Avremmo una concentrazione di poteri non riscontrabile in altri modelli democratici e parlamentari, ma solo un potere personale instaurato, garantito e nessuna vera opposizione.

Una parallela restrizione delle attribuzioni e del ruolo spettanti agli organismi di controllo e garanzia potrebbe essere esercitata in corso di legislatura.

L’identità dell’Italia, il suo ruolo nel mondo sarebbero decisi da una persona sola ed il popolo non potrebbe influirvi facendo valere le sue radici, la sua civiltà e la sua cultura.

La difesa della Costituzione vigente non vuol dire peraltro che singole sue disposizioni o istituti non possano essere modificati se necessario, ma in ogni caso deve essere salvaguardato il costituzionalismo interno e internazionale nelle sue acquisizioni irrinunciabili.

Ci dobbiamo mobilitare per il “NO” al referendum del 25 e 26 giugno e dopo dobbiamo tener alta l'attenzione  affinché i valori della Costituzione possano continuare a vivere in Italia  insieme alla pace, l'unità, la libertà ed i diritti.

 

Maria Caterina Chiavari Marini Clarelli