IL PERDONO
Nel mondo c’è un enorme bisogno di perdono! Un
atto necessario anche per le piccole vicende quotidiane. Sperimentare
nel rapporto con gli altri le delusioni e le frustrazioni porta la
persona, specialmente se cristiana, ad ammettere la necessità di
condonare ed essere assolta.
Con questo mio scritto vorrei approfondire le difficoltà che ho
incontrato nel perdonare e come ho riflettuto sui meccanismi difensivi
che inizialmente mi impedivano questo gesto. Non è infatti un atto
innato, ma è una condizione della fede. Meditando la Bibbia ho capito di
essere stata oggetto della misericordia del Signore. Ricevendo il Suo
perdono ho fatto l’esperienza di un Dio che assolve gratuitamente e così
ho potuto anch’io perdonare. La mia visione della vita è cambiata, mi
sono accettata e così ho potuto riconciliarmi con gli altri e con
Dio. Sono passata dall’esperienza passiva dell’essere stata perdonata, a
quella attiva del perdonare, un impegno a cui mi sono sentita chiamata.
Il senso di colpa è stato una disarmonia interiore in cui ho scoperto le
debolezze del mio essere. L’ho vissuto adeguatamente, perciò è diventato
un utile segnale di allarme che mi ha indotta a cambiare il mio
atteggiamento. Si inizia così a superare il proprio egocentrismo e ci si
apre all’altro, affrontando l’ostacolo dei propri sentimenti aggressivi.
La collera è spesso l’espressione della disperazione dovuta all’
allontanamento di una persona cara a causa della propria aggressività.
Una emozione che si è rivelata molto utile, una risposta tesa ad
eliminare il pericolo oggettivo e reale di una distruzione fisica o
psicologica. Mentre l’amore è associato ai tentativi di fusione, la
collera contrasta questo desiderio di unione. Ambedue sono reazioni
naturali a seguito di una ingiustizia. Anche Gesù è andato in collera,
ad esempio con Pietro (Mt 16,23) e nel Tempio (Mt 21,12-13).
Quando sono stata capace ad eliminare i miei sentimenti di rancore verso
coloro che mi avevano offesa e di perdonarli, mi sono sentita in pace
con me stessa e con gli altri. Perdonare mi ha fatto conoscere la verità
e mi ha resa libera (Cfr Gv 8,32).
E’ stata una importante presa di posizione che mi ha stimolata a
maturare psichicamente e ad aprirmi a rapporti interpersonali più
autentici e soddisfacenti sia con Dio, che con gli altri. Ho elaborato
ed armonizzato tra loro le ammonizioni proposte dalla Bibbia. Il mio
vissuto di credente le ha assunte e fatte sue. Leggendo la parabola del
fariseo e del pubblicano ho capito come i comportamenti morali possono
essere frutto di uno spirito di autosufficienza nel caso del fariseo,
mentre il pubblicano, colpevole, può trovare nella sua situazione
imperfetta lo slancio verso Dio e pregare dicendo: “ O Dio, abbi pietà
di me peccatore” (Lc 18,9-14).
Ho cercato di essere coerente in quello in cui credo, solo così sono
riuscita a perdonare. Questo impulso ha aiutato la mia memoria a guarire
e a poco a poco il ricordo dell’offesa è diventata sempre meno presente
ed ossessiva, fino a non farmi più male. Ripensare al torto subito, è
una condizione dolorosa, ma molto necessaria per arrivare ad assolvere.
Bisogna infatti riconoscere il valore e la dignità dell’altra persona,
che perdura nonostante la sua colpa. Invece sbaglia chi viene distrutto
dall’odio e dalla vendetta verso l’offensore, perché roso da questi
risentimenti continua a ripensare alle parole e agli atti che l’hanno
colpito, rinforzando in tal modo la memoria dell’ingiustizia, riaprendo
così la ferita.
Il perdono deve essere al centro della vita del cristiano e per
raggiungere questo impegno egli è aiutato dalle sue potenzialità
positive. Per proteggermi dall’ondata di sofferenza, ho selezionato tra
loro gli aspetti buoni e quelli cattivi degli offensori. L’affronto
provoca facilmente la messa in atto di meccanismi difensivi per evitare
il dolore che ogni affronto subito porta in sé. E’ stata una delle
fatiche più rilevanti nel cammino del perdono debellare l‘angoscia. L’ho
potuto superare rendendomi conto che gli altri, nonostante il loro
gesto, sono persone con qualità sia buone che cattive, ma specialmente
perché nella Bibbia é scritto “ama il prossimo tuo come te stesso”(Mt
19,19).
Aver conquistata la capacità di perdonare, anche se mi é costata
molto impegno, mi ha resa più spirituale e matura, molto ripagata degli
sforzi compiuti. Chi perdona, avendo abbandonato il risentimento ed il
desiderio di vendetta, ha fatto rinascere in sé un grande cambiamento (metanoia)
ed ha ristabilito un nuovo rapporto tra l’offensore e l’offeso. Nei
rapporti intimi di parentela la riconciliazione è stata per me la
conseguenza normale del perdono ed ha avuto la potenzialità di
restaurare i legami. Il fatto che ho perdonato, ha indicato in me la
presenza di una disposizione favorevole alla riappacificazione che si é
poi tradotta in comportamenti tali da risanare di fatto il nostro
rapporto. La riconciliazione presuppone la corrispondenza e dipende
dall’esito di una serie di scambi interattivi grazie ai quali i parenti
arrivano a ricomporre la loro relazione attraverso uno sforzo comune.
Non perdonare è voler affermare sé stessi, sopravvalutandosi,
dimenticando l’insegnamento cristiano.
Quando mi sono sentita aiutata da Gesù, ho rinnegato il mio egoismo con
un superamento dei giudizi e dei sentimenti negativi nei confronti degli
offensori ed ho rinunciato a nutrire rabbia. Così sono avvenuti una
serie di cambiamenti interiori dovuti ad un difficile e faticoso
processo psicologico raggiunto con grande sforzo. Sono stata sorretta
dalla conoscenza dell’ etica cristiana che si fonda sull’amore e da una
continua revisione di vita. Il Cristianesimo richiede uno stato di
perfezione, un compito difficile da raggiungere, perché ogni traguardo
conquistato non è acquisito per sempre, ma necessita del costante
impegno per mantenerlo. Proprio quando il prossimo non è degno di
affetto bisogna amarlo e perdonarlo. Si ridefinisce così la nostra
identità personale e si riconosce la gratuità del perdono del Signore.
Chi ha subito l’offesa deve avere l’empatia, cioè la capacità di
porsi nei panni di chi ha compiuto l’atto e di provare sentimenti
benevoli nei suoi confronti. Ho sempre cercato di salvaguardare il
rapporto con coloro che mi hanno fatto del male, perchè prima che
l’evento oltraggioso abbia avuto luogo, il mio rapporto era
caratterizzato da una buona intesa. Ho infatti ricucito la relazione,
ristabilito una maggior vicinanza e scambi più positivi. Ho rimosso il
rancore e questo ha suscitato nell’altro il desiderio del bene e
dell’armonia. Mi sono liberata dai pensieri ossessivi ed ho iniziato ad
interagire in maniera più positiva rendendomi conto che nessuno è immune
da errori, colpe e mancanze. Questo atto ha aiutato la mia memoria a
guarire dal ricordo dell’offesa, che è diventata sempre meno presente,
tanto da non farmi più male. Ho riconosciuto il valore e la dignità di
chi mi ha maltratta, non mi sono fatta distruggere dalla collera verso
l’offensore per non essere rosa dal risentimento, ma ho cancellato la
memoria dell’offesa, per non riaprire la ferita. Questa funzione mi ha
aperta ad una relazione rinnovata, riuscendo a non identificare più
l’offensore con la sua azione. Questo processo ha richiesto del tempo,
ma poi il perdono è diventato un atto creativo che mi ha trasformata da
prigioniera del passato a persona in pace nel presente. E’ stato un
gesto che ho eseguito con tribolazione, ma nella consapevolezza di una
vittoria su me stessa. Ho perdonato anche perché avevo bisogno che
quelle persone mi riempissero del loro amore ed infatti tutto è
ritornato come prima.
Leggendo
la Bibbia ho capito la pazienza e la misericordia di Dio verso il
peccatore ed è stata rilevante per l’analisi delle mie particolari
implicanze psicologiche. Dovevo perdonare perché ero stata perdonata dal
Signore, che ha sempre un atteggiamento ”misericordioso e pietoso...che
perdona la colpa” (Es 34,6-7), perché non vuole la morte del peccatore,
ma desidera la sua conversione (Ez 18,23) per prodigare il Suo perdono.
Infatti le Sue vie non sono le nostre vie ed i Suoi pensieri superano i
nostri pensieri(Is 55,7-9). Rileggendo le Sacre Scritture mi sono
sentita chiamata a perdonare (Gn 33,3-4; Gn 45, 14-15) ed avere più
indulgenza nei confronti degli altri (Dt24,17-18). Nella Sua
misericordia Dio mette fine al peccato dell’uomo ed è così ristabilita
la vera relazione con Lui (Is. 1,18).
Nel NuovoTestamento il perdono assume maggior importanza, profondità ed
estensione. A Pietro, che domandava se avesse dovuto perdonare fino a
sette volte un’offesa subita dalla stessa persona, Gesù rispondeva
“settanta volte sette “(Mt 18,21-22) vale a dire sempre, senza limite.
Cristo ha suscitata in me pensieri positivi e mi ha rivelato che Dio è
un padre la cui gioia sta nel perdonare (Lc 19,1--10), perché nessuno si
perda (M18,12ss).
Il cambiamento del mio atteggiamento interiore quando perdonavo, è
stato rilevante, perché era ispirato all’imitazione del perdono di
Dio. Mi sono sentita chiamata a fare lo stesso verso gli altri, senza
mettere limite al numero di volte (Col 3,13).
Quando ho letto l’episodio del fariseo e della peccatrice, ho capito
cosa è il perdono. La donna lo riceve da Gesù perché “ha molto amato” e
la sua fede l’ha salvata (Lc 7,36-50). Sono restata impressionata anche
dall’ atteggiamento di Cristo verso la samaritana ( Gv 4, 7-26) e
l’adultera (Gv 8, 1-11). Mi ha indicato la necessità di condonare le
mancanze dei miei offensori prima di pregare, perché anch’io possa
essere perdonata (Mc 11,25).
Lo studio della teologia mi ha fatto capire l’importanza della coerenza
per una cristiana ed ora mi sento serena. |