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IL MIO DOLORE FISICO

 

Da cinque anni convivo con il dolore fisico, perciò lo conosco bene. E’ qualcosa di più di una meccanica risposta ad uno stimolo improvviso. E’ un’esperienza complessa la cui intensità è influenzata dal significato che si dà alla situazione dolorosa ed è in relazione allo stato d’animo della persona nel suo insieme. Un dolore intenso e duraturo si è impadronito di me, ha influenzato la mia vita quotidiana ed ha cambiato quella sociale, ma ha migliorato quella spirituale e la fede in Dio.
Il mio dolore fisico è iniziato prima della paralisi e non è stato capito subito dai medici come un sintomo molto importante dei disturbi del mio corpo. La mia malattia si è annunciata con dolori tremendi alla testa, ma nessuno ha guardato il mio orecchio destro dove ha iniziato a lavorare l’herpes zoster/sindrome di Ramsey Hunt, che trascurato è arrivato al cervello e poi al midollo. Quando è stata diagnosticata l’encefaloradicomielite virale disseminata io avevo oramai la paralisi agli arti inferiori, ero insensibile alle stimolazioni e con il passare dei mesi sono iniziati i dolori alle gambe.
Le emozioni positive che influenzano i miei centri del dolore sono: l’affetto delle persone a me vicine, il pregare e l’essere disponibile verso il mio prossimo. La sofferenza del mio corpo ha a che fare con i diversi stati d’animo.
E' sovente il risultato di una complessa, spesso inconsapevole elaborazione in cui il fisico e la mente si amalgamano. Le singole dimensioni si distinguono, ma non si possono separare e quantificare. Bisogna invece attentamente valutare e tenere sempre in seria considerazione la componente psichica.
Il dolore è un fenomeno individuale, molto sensibile alle variazioni personali, io lo riesco a domare con le medicine, la musica classica e specialmente con le respirazioni profonde che mi rilassano . Solo chi vive nella sofferenza fisica la può spiegare. Colui che ascolta deve cogliere il messaggio che va spesso oltre le parole e non lasciarsi influenzare dai propri schemi mentali e dai pregiudizi.
Il dolore è come un guardiano, un sistema di allarme e di difesa, mi avvertiva di qualcosa che mi poteva danneggiare, di disturbi seri del mio organismo, ma alle mie richieste i medici mi davano risposte vaghe. Ho cercato di spiegare i sintomi che mettevano in moto tutta una serie di reazioni a livello fisiologico, emotivo e comportamentale nel mio corpo, ma questo meccanismo di allarme, non ha funzionato.
Ricoverata d’urgenza in ospedale il Primario ha capito quando non c’era quasi più nulla da fare. La paralisi si era ormai impossessata delle mie gambe. In seguito oltre alla paresi ho dovuto sopportare, specialmente agli arti inferiori, il dolore fisico, che ha anche cambiato di identità, non è più un segnale, ma è diventato una malattia. Oggi vivo con gli antidolorifici che aumento o cambio quando non fanno più effetto. In questa situazione la psiche è un fattore importante che regola la mia esistenza,perché è nel cervello che il dolore viene sentito. L’ambiente in cui sono stata allevata, specialmente l’educazione impartita da mia madre, stanno giocando un ruolo essenziale nel rispondere al male, frutto di una attenta valutazione, anche se inconscia e veloce. Molti pensieri negativi possono amplificarlo e diminuire la tollerabilità, ma io sono riuscita a renderli positivi pensando al mio mondo dei valori in cui credo. Lo posso descrivere come una tremenda esperienza sensoriale ed emotiva. Nei suoi vari momenti percettivi e comportamentali, mi sembra il risultato di una elaborazione che avviene a livelli, che io spesso riesco a controllare. Il dolore ha, ora per me, una componente somatica ed è influenzato da tutta una serie di fattori psicologici. Io mi sto impegnando per non farlo diventare una figura di primo piano e attirando così un po’ troppo l’attenzione del mio prossimo. Davanti allo spettacolo della sofferenza degli altri, mi domando: chi meglio di me, che sono tanto provata, può capire ?
Scrivo per aiutare gli altri, mi occupo dell’adozione dei bambini indiani, cerco di dare il buon esempio alle consorelle di cui sono Priora. Sono diventata una persona partecipe, attiva, non concentrata nel suo dolore, che così viene meno sentito. Quando parlo della mia malattia mando un messaggio, una informazione al mio prossimo sulla mia esperienza e lo introduco nel mio mondo. La gamma dei processi intellettivi si è ristretta con l’avanzare dell’età, ma quelli che ho molto utilizzato durante la mia vita si sono conservati ed aiutano la mia efficienza. La crisi subita a causa della malattia mi ha imposto un cambiamento di assetto interno, di relazione tra me ed il mondo degli altri. Ho usato nuove strategie comportamentali e di controllo delle mie azioni. Per avere un buon effetto, ho realizzato un laborioso sforzo di adattamento, perché mi sono subito resa conto della mia situazione di dipendenza e di diventare un problema per i miei familiari. Perciò ho cercato di rompere il circolo vizioso che amplificava il dolore. Voglio dare un significato ad un evento importante, come il lungo corso della mia infermità in cui dolore e disabilità convivono. Comunico i miei problemi personali ed interpersonali anche con il linguaggio del corpo. Gli aspetti somatici, religiosi, psicologici, sociali e culturali si fondono insieme nella mia mente.
Il dolore ha avuto il suo inizio nel corpo, ma ora è entrato man mano a far parte del mio vissuto, dei miei messaggi e delle mie relazioni. Sono conscia che il punto di arrivo di tutti gli impulsi sensoriali sia il cervello nella sua globalità. In esso tutto ciò che giunge dalla periferia è sottoposto ad elaborazione, codificazione, confronto prima ancora che emerga a livello di coscienza. Quando avverto il dolore sono già avviate le risposte comportamentali.
La memoria dell’esperienza passata e lo stato d’animo in cui avviene sono elementi che concorrono nel determinare la sofferenza e nel renderla più o meno dolorosa.
Interpreto sempre tutto ciò alla luce della mia fede in Dio, sicura che non mi abbandonerà mai! Per accettare questo disastro mi sono rivolta al Signore chiedendogli aiuto. Mi sono accorta che ha ascoltato il mio grido di dolore e sta facendo un viaggio con me. Infatti nella Bibbia è spesso raffigurato come uno che “cammina insieme” e dà una mano.
La salvezza ci è stata data da Gesù che si è incarnato, cioè si è calato dentro la nostra vita, la nostra sofferenza e la nostra morte. Egli doveva patire e morire per le Scritture, ma Lo faceva anche per necessità intrinseca alla nostra salvezza. Gesù, nel massimo del suo splendore, non poteva né soffrire né morire, perché era ed è nella gioia e nella pace perfetta. Noi, creature finite, invece abbiamo il dolore come segno di imperfezione e la morte come limite. Il Cristo è per definizione l’eterno ed in quanto Dio né la sofferenza, né la morte possono toccarLo. Incarnandosi però Gesù ha cambiato la situazione dell’uomo, assumendo il suo bagaglio umano. Egli è veramente uomo, non perché nasce, ma perché ha sofferto ed è morto. Avendo vissuto il dolore, è diventato un vero uomo, ha così provato nella Sua carne e nella Sua psiche le varie espressioni della sofferenza, dell’ angoscia, dello smarrimento, dello sconforto e della tristezza. Durante la Passione, il patimento non Lo ha separato dal Padre. La realizzazione del Suo progetto d’amore così è diventato motivo di redenzione.
Durante la malattia, riconoscendo la mia debolezza, ho voluto seguire il Cristo, trovando in Lui, nei momenti di disperazione, la forza di continuare a gestire il dolore per poter aiutare il mio prossimo.
La relazione di aiuto verso gli altri proviene dall’atteggiamento che nasce dall’esperienza del dolore, dal modo di affrontarlo e dargli senso. Far del bene mi ha sempre procurato calma e serenità, perché non penso a me, ma come fare ad essere vicina ai sofferenti. Metto la sordina al dolore, dimentico la paralisi e mi dedico a loro.
Se voglio comunicare con chi soffre in modo efficace e significativo, devo avere un adeguato possesso di me stessa, una capacità di ascolto ed infine non mettermi mai al centro dell’attenzione, ma essere disponibile verso la persona da aiutare.
 

Maria Caterina Chiavari Marini Clarelli