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RIFLESSIONI SULLA SUMMORUM PONTIFICUM


 

Ho letto la Lettera Apostolica ”Motu Proprio dataSummorum Pontificum di Benedetto XVI, edita dalla Congregazione per la dottrina della fede, e la sua lettera ai Vescovi. Viene spiegato l’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Mi hanno fatto riflettere e mi sono posta molti interrogativi. Il primo riguarda cosa succederà il 14 settembre 2007 ? Non bastava forse il Concilio Vaticano II, “il Messale di Paolo VI riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, per la forma normale,cioè la forma ordinaria della Liturgia Eucaristica”?
Se questo Messale è e rimane la forma normale della liturgia. che non è mai stato soppressa, perché scrivere il Summorum Pontificum?
A Santa Maria Maggiore ed in altre chiese di Roma per i fedeli ed i sacerdoti tradizionalisti si celebrano le Messe in latino, con il prete che dà la schiena ai presenti. Quello che più mi ha meravigliato nei due documenti di Benedetto XVI del 7 luglio c'è la mancanza assoluta del termine: ”partecipazione” che invece si ripete sovente nel Sacrosanctum Concilium. Il Concilio invece ha insistito alla piena ed attiva partecipazione di tutti i presenti alle celebrazioni ed ha curato molto la promozione della liturgia ( cf S.C. 14). Il Vaticano II ed i tre Papi hanno organizzato i Messali, riformando la liturgia cattolica. Durante la Messa i fedeli finalmente capiscono l’importanza della parola di Dio perché viene letta nella propria lingua e poi tante persone si comunicano.
Benedetto XVI nel Sacramentum Caritatis (n.45) scrive che la Parola di Dio letta ed annunziata nella liturgia conduce all’eucarestia. La Lumen gentium n.10 afferma che durante la Messa Gesù è presente nell’assemblea dei fedeli riuniti in Suo nome nella persona del sacerdote , che compie il sacrificio eucaristico e lo offre a Dio a nome dei fedeli, i quali in virtù del loro sacerdozio concorrono all’offerta dell’eucarestia.
Ero in San Pietro il 4 dicembre 1963 quando i vescovi approvarono con 2147 placet e 4 non placet la Costituzione sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium. Fu la prima votazione di un documento del Vaticano II. Molti lo attendevano! Ho dato l’esame di Liturgia alla Gregoriana, dopo il Concilio, quando hanno permesso alle donne di entrare nella facoltà di teologia, perciò faccio anch’io parte di coloro che vengono formati ad una piena, consapevole ed attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche come è scritto al numero 14 della Costituzione. In forza del battesimo siamo “stirpe eletta”(1Pt 2.9) perciò abbiamo il dovere di partecipare attivamente alle celebrazioni liturgiche.
Mi ricordo che durante la mia gioventù andavo a “sentir Messa o ad ascoltarla”, mentre il prete era impegnato “a dire Messa”! Invece con il nuovo rito del Vaticano II i fedeli partecipano alla celebrazione ed il sacerdote, sempre rivolto verso i presenti, la presiede. Si è superata la divisione che esisteva tra il prete ed i presenti. La partecipazione attiva non è solo essere in comunione, ma anche disporre i credenti a vivere personalmente quanto viene celebrato.
Perciò mi ha lasciata stupefatta l’affermazione del Papa secondo la quale il rito del 1570 che si ispira al Concilio di Trento, non sarebbe mai stato abrogato dal rito del 1970 voluto dal Vaticano II. La Congregazione per il Culto divino invece l’11 luglio 1999 in un documento (protocollato con il numero 947/99L) ha chiarito che il Missale Romanum detto di Pio V è da ritenersi non più in vigore ed ha ribadito il 18 ottobre 1999 che il Messale Romano, approvato e promulgato da Paolo VI, con la Costituzione Apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969, in virtù del diritto generale, è l’unica forma in vigore per la celebrazione della Messa secondo il rito romano. Perciò non ci sono due stesure del Messale romano come se fossero “due riti, ma è un uso duplice dell’unico e medesimo rito”. Questa affermazione non è condivisibile perché quello di PioV ha anche un ridotto numero di letture bibliche rispetto a quello di PaoloVI. Questo Papa infatti nel Concistoro del 24 maggio 1976 aveva ribadito che il nuovo Ordo Missae è stato promulgato per sostituire il precedente, perché ciò che si trova nel Messale di Trento è presente in quello del Vaticano II, solo che quest’ultimo è molto più ricco di letture e meglio organizzato.
I nostalgici della Messa tridentina fanno fatica ad accettare che i fedeli durante la Messa quando il prete compie il Sacrificio Eucaristico in persona di Gesù e lo offre a Dio a nome loro, in virtù del loro sacerdozio, concorrono all’offerta dell’ Eucarestia. Essi sono convinti che alla Messa non si partecipa, ma si assiste e si prega.
E’ apprezzabile che il Papa voglia ricomporre l’unità con i tradizionalisti e specialmente con i membri della Fraternità San Pio X fondata da Marcel Lefebvre, già arcivescovo di Algeri. Egli organizzò ad Econe (Svizzera) una vera e propria secessione con vari preti che si opponevano allo spirito del Concilio Vaticano II. Paolo VI lo sospese a divinis nel 1976 e Giovanni Paolo II lo scomunicò nel 1988, perché aveva ordinato quattro vescovi per assicurarsi una successione. Il problema dei Lefebvriani non è liturgico, ma ecclesiologico. Infatti pongono in questione il senso dell’unità ecclesiale nella comunione con la sede di Pietro, ma specialmente l’autorità del Vaticano II. Il Motu Proprio di Benedetto XVI, liberalizzando la Messa di Pio V, vuole recuperare i lefebvriani, che hanno espresso “viva gratitudine” per la Summorum Pontificum. Bernard Fellay, il vescovo consacrato da Lefebvre e suo successore, si compiace di vedere che la Chiesa ritrova così la sua Tradizione liturgica, donando ai sacerdoti ed ai fedeli, che fino a questo momento ne erano stati privati, la possibilità di accedere liberamente al tesoro della Messa tradizionale. Mentre Fellay specifica che gravi sono le difficoltà che ancora sussistono e desidera che venga ritirata la scomunica , perché c’è un clima favorevole instaurato dalle dalle nuove disposizioni della Santa Sede. Spera di poter incontra il Papa perchè pensa sia disponibile avendo definito il grave scisma come ”il movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre”. Eppure nella lettera inviata ai Vescovi Benedetto XVI definisce infondato il timore che venga intaccata l’autorità del Concilio Vaticano II e “la riforma liturgica” considerandole ”delle decisioni essenziali”.
Giovanni Paolo II nel luglio del 1988 istituì la Pontificia commissione Ecclesia Dei con il compito di collaborare con i vescovi, i dicasteri della Curia Romana e con gli ambienti interessati allo scopo di facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti, seminaristi, comunità, singoli religiosi e religiose che erano in vario modo legati alla Fraternità San Pio X, se volessero restare uniti al Papa. Nel Motu Proprio di Giovanni Paolo II veniva anche stabilito che i Vescovi potessero permettere l’uso del Messale di Giovanni XXIII per venire incontro ai tradizionalisti . Questo messale del 1962 è in realtà quello di Pio V di cui ha autorizzato la ristampa, con piccole modifiche.
Perché Benedetto XVI, pur riconoscendo che la liturgia del Vaticano II è seguita dalla maggioranza dei fedeli, ha voluto ridare, a chi lo desidera, la possibilità di celebrare la liturgia secondo la forma del rito romano, già precedentemente in uso per alcuni fedeli e sacerdoti?
Benedetto XVI considera possibile la coesistenza delle due forme di rito, notando che non è stato compiuto un grande cambiamento nella liturgia del Vaticano II. Invece sono state, aggiunte nuove letture specialmente quelle dell’Antico Testamento.
 Benedetto XVI nei due Documenti sollecita i fedeli, che seguono la Messa nella propria lingua, a tollerare anzi comprendere coloro che la ascoltano in latino e giungere così ad una riconciliazione interna. cancellando le divisioni, perchè la differenza non è il latino, ma l’ecclesiologia.
Vorrebbe che la Chiesa ritrovasse l’unità, ma dovrebbe accettare il messaggio della teologia della liberazione, del dialogo interreligioso e dell’Ecumenismo.
Infine è difficile far cambiare la mentalità ai seguaci di Lefebvre, che hanno accusato il Concilio Vaticano II di tradimento per i suoi cedimenti alle istanze della modernità. Per una supposta tradizione, essi si sono arrogati il diritto di disubbidire al magistero conciliare. La tradizione invece, pur ammettendo la pluralità dei riti, ha sempre negato la libera opzione per due forme alternative all’interno dello stesso rito. I tradizionalisti rimpiangono la Messa in latino, specialmente quella di PioV e non riescono ad ascoltare quella nella loro lingua!
Benedetto XVI, pur sapendo che ci sarebbero state delle obiezioni, ha ugualmente deciso di favorire un esiguo numero di persone permettendo loro di ascoltare la Messa in latino, anche se le due forme di rito si contrappongono.Il Motu proprio infatti permette l’uso della liturgia anteriore alle persone che lo desiderano, anche se le liturgie seguano un calendario diverso. I Vescovi avranno il potere di concedere nella loro diocesi una parrocchia per i fedeli legati al vecchio rito latino!
La questione legata al Summorum Pontificum non riguarda solo la Messa in latino, lingua che è sempre stata adottata anche dal Messale di Paolo VI, il punto è che rende legittime sia le Messe preconciliari che quelle nate dalla riforma liturgica frutto del Concilio Vaticano II. L’ ermeneutica, per Benedetto XVI, nella sostanza non é mutata, visto che non ci sono contraddizioni tra le varie edizione nel Messale Romano. Alla Chiesa cattolica di rito latino, resta il Messale promulgato da Paolo VI.
Mi occupo da anni di dialogo ebraico-cristiano ed ho avuto paura di risentire nella liturgia del Venerdì Santo in latino la preghiera per la conversione degli ebrei in aperta contraddizione con il Concilio Vaticano II ( cf Nostra Aetate), invece una disposizione fondamentale contenuta nel Summorum Pontificum impone che il triduo pasquale sia uguale in tutti i messali. La preghiera del Venerdì che oggi si recita è: “Preghiamo per gli ebrei: il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la Sua Parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del Suo Nome e nella fedeltà alla sua alleanza”.
Questa asserzione mi dà speranza ed è un riconoscimento al lavoro che i teologici cattolici hanno fatto per promuovere i documenti conciliari. Nella liturgia del Venerdì Santo oggi non si invocava il Signore per la conversione degli ebrei, perché sarebbe in aperta contraddizione con i documenti del Vaticano II. Nel rito attuale si dice: “Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le Tue promesse ad Abramo ed alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa perché il popolo primogenito della pienezza della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione”. E’ una versione imperniata sulla certezza di San Paolo dell’elezione di Israele (cfr. Rom 11,29-36).
Giovanni XXIII comprese in pieno la necessità di evitare di leggere perfidis iudaeis, in quanto queste parole offendevano gli ebrei e suscitavano sentimenti antisemiti, perciò nel 1959 decise di sopprimere l’aggettivo. Mi ricordo che nel 1963 presiedeva la celebrazione del Venerdì Santo e fu erroneamente letto il vecchio testo. Il Papa interruppe la liturgia e fece ricominciare daccapo l’intera preghiera con il testo riformato.
La celebrazione del funerale del Cardinale Lustiger a Parigi mi ha commosso e rassicurato. Finché sono possibili queste liturgie il dialogo tra ebrei e cristiani continuerà.
L’eucarestia domenicale per noi cattolici non deve essere un precetto che pesa, ma una parola che illumina, un dono che aiuta a vivere meglio in quanto recepita come una luce che orienta, una fonte che irriga e disseta, come una roccia che sostiene.

Maria Caterina Chiavari Marini Clarelli  

 

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