Lettere

Per i festeggiamenti di Maria Luigia Ronco Valenti
Lettera alle consorelle (30 ottobre 2006)
Lettera alle consorelle (18 marzo 2002)
La visita all'ammalata
Carissimi, brucia una scuola Assefa

Per la prima volta le  consorelle della “Congregazione della Madonna della Misericordia di Savona” hanno eletto me priora, una consorella che si muove con la carrozzina. Sono venute a trovarmi in ospedale e mi hanno vista  serena nell’accettare la malattia che mi ha reso invalida. La votazione è stata un “segno dei tempi”, si è privilegiata la mente e non si è badato al corpo!
Nei 7 mesi di ospedale ed anche ora che sono a casa ho  la speranza  di poter di nuovo camminare, pur dicendo al Signore: “sia fatta la tua volontà”. Essa mi sostiene perchè Gesù è sempre vicino a me dandomi la forza di sopportare i dolori, il coraggio di andare avanti e l’umiltà di accettare l’aiuto degli altri da cui dipendo completamente.
Ho scoperto, così dei valori a cui non davo importanza durante la mia  esistenza vissuta di corsa per far fronte a tutti gli impegni.
Prima di tutto l’efficacia della preghiera, questo colloquio con un Dio che ti è vicino e  non ti abbandona e l’affetto degli altri. L’importanza di essere accanto a chi soffre e poterlo aiutare, perchè sei come lui, di combattere per i più deboli che non hanno voce e  facilmente vengono schiacciati ed infine di riuscire a rasserenare tante persone depresse,  perchè anch’io sto passando questi momenti.
Come  priora voglio mettere al  servizio delle consorelle ed anche dei confratelli l’esperienza di sofferenza  che ancora vivo e la difficoltà  di accettare il disegno di Dio!

La malattia ha cambiato la mia scala di valori, sono diventata più sensibile verso  gli  altri e  trovo  sempre il tempo di ascoltarli e  capirli, cercando di dir loro le parole giuste. Voglio mettere in raffronto le mie esperienze con quelle di coloro  che mi sono vicini per capire insieme  che cosa il Signore vuole da noi e far emergere tutte le dinamiche che ne conseguono e le variabili che innescano. Dopo ogni incontro, mi sento più arricchita, avendo cercato di cogliere il positivo del colloquio e questo è necessario per essere poi portatrice di speranza. Desidero accompagnare le persone ad una autoformazione, essere punto di riferimento per coloro che vogliono modificare il loro stile di vita ed una presenza positiva, capace di dar fiducia, senza mai sostituirmi agli interlocutori. Questo perchè è importante arrivare, con l’aiuto dello Spirito Santo,  a vivere una vita cristiana conforme all’età, alle proprie basi culturali e spirituali.
Per essere veri cristiani nella vita quotidiana“...si devono soccorrere i deboli ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse:Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”(At 20,35).
E’ questo il cammino che  voglio fare per vivere  in modo propositivo e stimolante la mia testimonianza verso coloro che sono alla ricerca del senso della propria  esistenza.
La preghiera, un incontro con Dio molto forte, ed i carismi della congregazione e della confraternita, mi aiuteranno nel mio compito.

 


Roma,18 marzo 2002

Carissime Consorelle,

nel mio letto d'ospedale ho saputo che mi avete eletto vostra priora e questa scelta mi ha profondamente commossa. Questa lunga malattia mi ha lasciato tanto tempo per pregare, riflettere e offrire le mie sofferenze.

Quando ho letto il Vangelo di ieri sulla resurrezione di Lazzaro ho sentito nelle parole di Gesù la ragione di una possibile speranza:“questa malattia (di Lazzaro) non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato" (Gv 11,25). Inoltre la Sua affermazione “Io sono la resurrezione e la vita" (Gv 11,25)  ha richiamato in me la certezza che potrò trasformare una mia situazione di dolore, vissuta con fede in Dio, in possibilità di trasmettere agli altri tutto quello che la sofferenza mi ha portato. Le lacrime di Gesù davanti alla tomba di Lazzaro, me Lo hanno fatto sentire più vicino e Lo sento camminare e soffrire con me.

L'autorealizzazione  personale implica per me il ritrovarmi impegnata nella realizzazione di quanto può tornare utile a tutte voi. E' un impegno che mi prendo con voi, anche se dovessi restare in carozzella.

                               Vi abbraccio con affetto 

                                                Maria Caterina

La visita all'ammalata

“Venite benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perchè...io ero...malato e mi avete visitato”(Mt 25,34-36). Questo è quello che l’ammalata augura a tutti quelli che sono venuti e verranno  a trovarla!
Secondo la logica dell’economia della salvezza, Dio  si immedesima in lei ed insieme attendono i visitatori. Infatti ella ha bisogno della comprensione, del sorriso, dell’aiuto degli altri. Aspetta che si sprigioni in loro la bontà, l’amore e la pazienza in tutte le varie forme, perchè Gesù vuole che dalla sofferenza e attorno ad essa cresca la solidarietà dell’amore,  quel bene che certamente è in ognuno di noi e che assume i connotati della condivisione (essere-con), del dono totale di sè (essere-per) e si identifica infine con la gratuità. Come insegna la parabola del buon samaritano(Lc 10,25-37), chiunque incontri un sofferente ha il preciso dovere di intervenire con tutti gli accorgimenti affinchè il dolore sia diminuito. I credenti, in quanto  partecipi dell’amore divino, devono impegnarsi a mettere in pratica il detto di Gesù:“Amatevi, come io vi ho amati”(Gv 13,34).
L’ammalata ha avuto la fortuna di ricevere questa solidarietà, che richiama  soprattutto l’idea dell’unità operosa nel condividere la sua situazione, nell’essere a suo servizio, progettando e realizzando un soccorso efficente. Ella apprezza tanto tutti coloro che hanno saputo trovare il tempo ed il modo  di venirla a trovare, sempre disponibili per sbrigarle le commissioni di cui ha avuto bisogno. Ha perciò il desiderio di rivolgere loro la propria valutazione, il proprio affetto e ringraziarli di cuore. Sono tutti ricordati nelle sue preghiere,  perchè non l’hanno mai fatta sentir sola, nè abbandonata.
Così  tra di loro è nata o si è consolidata  un’amicizia voluta da Dio, un’intesa reciproca e disinteressata. Gesù  autenticandola con il Suo stesso esempio l’ha santificata, rendendola soprannaturale e possibile. C’è un affetto di benevolenza, disinteressato, che comporta una comunicazione reciproca, una promozione che va da una persona all’altra e aiuta l’ammalata ad accettare la sofferenza. Avviene infatti qualcosa di misterioso e a tutta prima incomprensibile. L’ incontro genera la gratitudine  che diventa, con il tempo, molto  tenace  e proietta fuori di sè la forza dell’amore divino.
Colei che soffre, in una reciproca crescita e maturazione, percepisce la gioia di ricevere, ma anche quella di donare. Si realizza un incontro interpersonale, risultante da una libera inclinazione sperimentata nella comunicazione spirituale, fondata sulla  simpatia,  su una durevole unione e su una comune visione e valutazione delle cose.  Si sprigiona un influsso tra le  persone dovuto alla loro ricchezza spirituale e non alla loro cultura. Non ha importanza quello che esteriormente si  comunicano, ma quello che sono. La vera potenza non è tanto sul piano del dare, quanto su quello dell’essere. Ciò che in ogni caso è da assicurare è l’atmosfera divina in cui l’amicizia può vivere e conservarsi. “Niente è così potente tra le cose umane, per mantenere lo sguardo rivolto sempre più intensamente  a Dio  che l’amicizia degli amici di Dio”( Simone Weil “Attente de Dieu”).
La malattia è una realtà atroce, straziante, misteriosa, sconvolgente vi sono i dolori fisici, morali e spirituali, che solo chi è credente può accettare con serenità dicendo con Paolo: “sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa”(Col 1,24).
Credere in Dio non fa guarire, ma dà la forza di accettare  secondo il proprio carattere e le proprie abitudini, anche se non è una cosa facile. Non toglie il dolore, ma lo illumina, lo eleva, lo purifica, lo sublima, lo rende valido per l’eternità.  

Solo chi è vicina al Signore può accettare con serenità, perchè supera la sfiducia con una rinnovata decisione di fede accompagnata dalla speranza, che trasmette a chi le è vicino.
Il senso di precarietà e di fragilità viene maggiormente sentito quando il   male si presenta come una forza disgregatrice che minaccia l’integrità della persona stessa. In questa situazione nascono sentimenti di sfiducia, di angoscia, di rifiuto assieme a fasi di depressione, che generano nell’inferma la percezione di uno stato umanamente insuperabile, specialmente quando i dolori sono forti e durano a lungo. Avendo studiato teologia e fatto un’esperienza religiosa, si è più sensibili e si riesce ad offrire la malattia a Gesù come partecipazione all’opera della Sua Redenzione. Per l’inferma è un merito e per la sua anima un mezzo sicuro di purificazione e di elevazione. Inoltre chi soffre capisce meglio i visitatori e tenta di comunicar loro le ricchezze che ha accumulato dentro di sé. E’ un modello nuovo di incontro più umano e più divino in cui si scopre che l’attenzione reciproca è un bisogno fondamentale. Chi è  riuscita a vivere il suo quotidiano in chiave di speranza deve ritrasmetterla.
Dio è per lei Colui con cui sta facendo l’esperienza della chiamata a diventare un’altra e nello stesso tempo si sente trasformata da Lui.
Non solo l’amicizia, ma anche l’accoglienza esige delle condizioni: vivere nella Verità che libera(Gv 8,32),  ed esser sinceri e fedeli alle sue  esigenze. San Agostino ci dice “ama e poi fa ciò che vuoi”; infatti solo coloro che sono ben integrati e maturi sono in grado di amare, rispettando la sofferenza dell’ammalata. Nel quadro teologico-biblico l’inferma fa un grosso sforzo per comprendere quello che le sta succedendo. L’emergere del senso della malattia le appare pian piano come una realtà più  vasta della guarigione in senso clinico e intuisce di  partecipare al carattere trascendente della salvezza. Averlo capito fa sì che dalla passività distruttiva della malattia, in cui si sente sottoposta insieme all’esperienza della radicale povertà del suo essere creatura, scaturisca una crescita spirituale. La tentazione della sfiducia deve essere superata da una rinnovata decisione di fede accompagnata dalla speranza.
Per riuscire in tutto ciò è necessaria una grazia speciale che si riceve con l’unzione degli infermi. Questo sacramento aiuta a trasformare la condizione critica del male in un luogo di salvezza. E’ stato detto da Gesù Risuscitato:“quelli che credono nel mio nome....imporranno le mani ai malati e questi guariranno”(Mc 16,16-18). Chi comprende l’importanza di queste parole  diventa protagonista dell’evento sacramentale, perchè l’ha chiesto liberamente  rinnovando così la sua fedeltà  alla volontà di Dio.
Nel  libro della Bibbia, Giobbe viene descritto come un uomo ricco e religioso, il quale perde  i suoi beni, i suoi figli ed è  afflitto da una grave malattia.  Egli però rifiuta di imputare a Dio le sue disgrazie, dicendo “ Il Signore ha    dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore” (Gb1,21).
Vengono a visitarlo gli amici  che vogliono spiegargli cosa gli sia successo, ma lui risponde rivolgendosi a Dio, con la convinzione che soltanto la fede rende tollerabile il male:“Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te”(Gb 42,1-2) ed infatti il Signore“accrebbe, anzi del doppio, quanto,Giobbe aveva posseduto.“(Gb 42,10).
Giobbe insegna che chi soffre  deve persistere nella fede, anche quando è sfiduciato.
L’ammalata cristiana va oltre; ella deve vivere il valore della  sofferenza insieme a quella di Gesù, perchè come dice San Paolo: “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi”(Rm 8,18).


Carissimi,

Vi  ringrazio anticipatamente per la vostra generosità.

 

Lettera alle Consorelle
Roma, 30 ottobre 2006

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Maria Caterina nella chiesa di S.Giovanni Battista de' Genovesi

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