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I No Global sfilano per Firenze senza incidenti
SOCIAL FORUM NEL SEGNO DELLA PACE
di Giuseppe Trabace

Smentiti i profeti di sventure non si può non constatare che in occasione del Social Forum europeo, svoltosi a Firenze tra il 6 ed il 9 novembre, abbiamo assistito al consolidarsi di una nuova realtà politica del mondo giovanile con cui, volenti o nolenti, i detentori del potere mondiale dovranno misurarsi. 
I grandi temi portati avanti sono stati quelli della difesa dell'ambiente, di un nuovo modo di essere del mercato del lavoro, della lotta contro l'emarginazione e lo sfruttamento delle nazioni meno fortunate. Il tema chiave su cui però è stata improntata tutta la manifestazione è stato il rilancio del pacifismo e quindi il netto ed implacabile no ad ogni tipo di guerra. Il riferimento immediato ed attuale è stato l'opposizione dura al preannunciato intervento militare degli Stati Uniti contro l'Iraq, anche nel caso che l'Onu fosse consenziente.
Eppure a Firenze sabato 9 novembre in prima mattinata pareva di essere in una di quelle un po' desolate giornate ferragostane. Strade attraversate da pochi frettolosi passanti e senza auto, autobus quasi vuoti, calate un gran numero di saracinesche dei negozi. La città era terrorizzata dall' "invasione" di centinaia di migliaia di no global, per la maggior parte provenienti da paesi esteri, che avrebbero dovuto chiudere la manifestazione sfilando dalle h.15 per le vie di quella culla dell'arte che è Firenze. 
Erano da oltre un mese fioriti, con un orchestrato tambureggiamento dei mass media, messaggi su scempi e devastazioni che sarebbero dovuti piombare sugli inermi fiorentini con gravi rischi anche per le opere d'arte più esposte. Si pensava di sicuro a quei tristi eventi di Genova del luglio 2001. Una città messa a ferro e fuoco, quasi in una logica di guerra civile. Le ali più estremiste dei no global in guerra contro quelle forze dell'ordine che tentavano di impedire ai manifestanti più esagitati di invadere la zona rossa inibita alle manifestazioni. La dura, ed in taluni casi incontrollata, reazione di una polizia frastornata ed, infine, la morte, per mano di un carabiniere, del giovane Carlo Giuliani durante la guerriglia urbana.
A Firenze il quadro era differente. In primo luogo non vi erano i capi di governo da salvaguardare e quindi il problema delle zone rosse non esisteva e i gruppi, peraltro sparuti, dei violenti erano meno sollecitati a far esplodere il caos. Le forze dell'ordine si sono poi mosse con maggiore abilità e prudenza anche perché coordinate da uomini dello Stato di indubbia qualità come il prefetto di Firenze Achille Serra. 
La manifestazione nel suo complesso ed anche il corteo di chiusura sono andati avanti in assoluta tranquillità, anche se non sono mancati gli slogan duri e gli attacchi verbali a coloro che hanno la responsabilità di governare. 
Non sarà facile, pertanto, per le nazioni guida dialogare con il Social Forum ma chiudere gli occhi e non affrontare la situazione si rivelerà sicuramente più difficile.


Il tempietto di Sant’Andrea
di Lea Mina Ralli

Ogni luogo della terra ha i suoi riferimenti storici che ne spiega le origini e questo a Roma, detta anche Capitale del mondo, è visibile quotidianamente visitandone chiese e monumenti, fontane e tempietti.
Questi ultimi venivano eretti quale ringraziamento per un eccesso di fede religiosa o per un vero scampato pericolo. 
Quello che ancora regge al tempo e che viene ammirato come una vera opera d'arte è quello situato sulla via Flaminia dedicato a Sant'Andrea che poi è diventato parte integrante della chiesa omonima.
La sua storia risale ad una vicenda accaduta il 30 novembre 1527, quindi proprio la notte di Sant'Andrea, durante quel sacco di Roma che fu una vera rivoluzione distruttiva compiuta dai Lanzichenecchi di Carlo V di Francia.
In quell'occasione furono incarcerati soprattutto nobili e prelati tenuti in una sorta di arresto domiciliare nell'ambito del quale, seppure guardati a vista da guardie armate, avevano facoltà di poter migliorare i loro pasti, coi propri averi.
Questo accadeva anche nel Palazzo della Cancelleria adibito a carcere di lusso per un gruppo di Cardinali, quasi tutti ricchi rampolli di famiglie aristocratiche.
C'era fra questi il Cardinale Giovanni Ciocchi Dal Monte che proprio la sera di Sant'Andrea organizzò una lauta cena ai guardiani lanzichenecchi con vini prelibati che, con l'aiuto dell'amico principe Prospero Colonna, fece fortemente oppiare al fine di farli cadere in un sonno lungo e profondo; raggiunto così l'intento, il promotore della festa, riuscì a fuggire e a mettersi in salvo. 
Ventitrè anni dopo, quel fuggiasco divenne Papa col nome di Giulio terzo che, a ricordo di quella avventurosa salvezza, nel 1554, incaricò il Vignola di erigere un tempietto votivo a forma rotonda che proprio per questo fu chiamato Ecclesia sancti Andreae Rotundi.   


Bulli, i tempi cambiano
di Paolo Francardi

Comincia con qualche furtarello, quasi clandestinamente. Poi si mette a rubare giubbotti, motorini e automobili in una escalation che si conclude il più delle volte in carcere.
Alla luce dei risultati emersi da una ricerca effettuata dall'Istituto di Antropologia della 1° Università di Roma, è questa la "carriera" che percorre il bullo moderno nella società romana. Uscito dalla scuola dell'obbligo, il giovane entra in un gruppo che lo gratifica e in tale ambito costruisce la sua immagine di bullo.Vittime su cui sperimenta il suo potere: le persone più deboli che vengono tormentate con insulti e minacce oppure con violenze fisiche anche di tipo sessuale.
La carriera prosegue quindi fuori del gruppo sotto forma di una vera e propria attività delinquenziale.
Ma che tipo è il bullo di oggi?
L'indagine della Sapienza di Roma risponde così a questa domanda: il bullo romano è un elemento
insicuro, superficiale, ambiguo, irascibile e aggressivo. E' perennemente annoiato, ha bisogno di attenzioni, ce l'ha con tutti, gli piace distruggere, non accetta le regole e non ha ideali. O meglio, uno ce l'ha: l'attaccamento alla sua squadra di calcio. Siamo lontani mille miglia dal bullo storico presente nell'immaginario collettivo. Il quale è', si, bugiardo, fanfarone, puerile, fanatico, spaccone e vigliacco, ma ha pur sempre una sua morale. Il Miles gloriosus di Plauto, il Rodomonte dell'Ariosto, Giggi er bullo di Petrolini, il Riccietto di Pasolini, tanto per parlare dei bulli più celebri, nella loro ingenua semplicità ispirano simpatia. 
Lo stesso Ricciotto del Belli, che è probabilmente il bullo più malvagio che si conosca, ha piena coscienza del ruolo che svolge nell'ambito della società del suo tempo. 
Il bullo moderno, no. Sembra quasi che operi nel male perché non sa che fare, perché è annoiato, perché non gli manca niente. Forse più che di bullismo sarebbe il caso di parlare di disagio giovanile e di delinquenza all'interno della società dei consumi e del benessere. 
Ma la terminologia non sposta di una virgola il problema. Quella dei giovani disadattati resta una grave infezione nella moderna società borghese.
E allora sorge spontanea la domanda: che si può fare per fermare questa malattia?
La ricerca non dà risposte esaustive al riguardo, ma si limita a calibrare le responsabilità che hanno portato alla crescita del fenomeno di un bullismo tanto atipico. 
E se è vero che la famiglia e la scuola hanno le loro colpe, è soprattutto la società ad essere chiamata in causa. E' la società impostata sul sistema delle clientele e delle raccomandazioni la prima responsabile dell'inerzia dei giovani e della situazione di disagio che li affligge. In perenne attesa che qualcuno risolva i loro problemi, nonché di un posto di lavoro che non arriva, questi ultimi finiscono per lasciarsi attrarre sempre più spesso, bulli o delinquenti che siano, nell'affascinante vortice malavitoso. 
Partire pertanto da regole diverse sull'organizzazione sociale in grado di restituire importanza al merito abbattendo drasticamente il sistema delle raccomandazioni è l'imperativo categorico che sottende i risultati della ricerca sul bullismo. Come dire: tanto iniziamo da qui, poi si vedrà. 
Ma l'impresa è davvero difficile.  
   


Applausi all’Eliseo per “Erano tutti miei figli”
Il prezzo della colpa
di Giuseppe Trabace

Kate, la ricca madre americana che difende con le unghie e con i denti la sua famiglia, è l'emblema di una società opulenta che vuole conservare ad ogni costo i suoi privilegi, anche se in fondo consapevole che prima o dopo verrà il momento di pagare il prezzo per le colpe commesse.
Questo uno dei più significativi messaggi che il commediografo americano Arthur Miller rappresenta nel dramma " Erano tutti miei figli" che il teatro Eliseo di Roma ha presentato nel mese di novembre.
Scritta nel 1947 l'opera drammaturgica risente degli echi del conflitto mondiale terminato da non molto tempo e delle tante lacerazioni prodotte dalle guerre.
La trama è quella di Joe Keller, padrone di una fabbrica che costruisce aeroplani, sottoposto nel corso della guerra ad un processo per una fornitura di cilindri difettosi alle autorità militari. Tutti gli aerei dotati di quei cilindri sono precipitati e 21 piloti sono periti. Joe ne è uscito fuori accusando il suo socio d'affari che aveva materiamente inviato quel materiale difettoso, smentendolo sul fatto che lui stesso avrebbe dato per telefono l'ordine fatale. Terminata la guerra Joe vive nella sua villa con la moglie Kate ed il figlio Chris ma la famiglia è stata duramente colpita dalla scomparsa dell'altro figlio Larri, dato per disperso come pilota di aerei durante un'azione bellica. Tutto precipita quando in casa Keller giunge, a tre anni dalla morte di Larri, la sua fidanzata Annie, figlia del socio di Joe, condannato a molti anni di reclusione per quella fornitura. La giovane ha una relazione amorosa con Chris, delicato ed astratto idealista. Kate, ansiosa e divorata dall'illusione che il figlio disperso ritornerà, inorridisce alla notizia che Chris vorrebbe sposare Annie. Quel figlio disperso “deve tornare” ed Annie è la sua donna. 
La tensione sale quando il fratello di Annie, svela che quell'ordine fatale lo dette Joe per non rischiare che la fabbrica subisse rilevanti danni economici. Il capofamiglia nega mentre Kate cerca di liberarsi con ogni mezzo dei due sgraditi ospiti. Annie esplode e mostra l'ultima lettera di Larri in cui confessa alla donna il suo orrore per le colpe del padre e annuncia che nel prossimo volo di guerra si toglierà la vita. Joe crolla confessando la sua colpa e Kate svela di aver sempre saputo ma di aver dovuto tutelare ad ogni costo la famiglia. Alle urla disperate di Chris il padre d'impeto risponde: "sono un uomo con le sue debolezze e faccio gli affari!". Subentra poi lo sconforto in quest'uomo ormai distrutto per il rimorso. Cupamente afferma : "quei piloti morti per colpa mia erano tutti miei figli!". Esce di scena e dopo qualche attimo echeggia un colpo di pistola. Joe si toglie la vita lasciando nella disperazione Kate dalla cui bocca esce un urlo di dolore. Dramma incisivo e coinvolgente che affronta il tema non facile di chi prospera e si arricchisce nel corso delle guerre anche a danno dei tanti che rischiano ogni giorno la vita. La morale che viene fuori è quella della responsabilità e della solitudine dell'uomo che vive solo per sè e la sua famiglia e della punizione che prima o poi lo colpirà. Un'opera di tale impatto emotivo richiedeva un'adeguata messa in scena e ciò è avvenuto solo in parte. Anonima la scenografia. Appena sufficiente la regia. Spiccano le interpretazioni dei due protagonisti. Umberto Orsini centra il personaggio complesso e sfuggente di Joe. Fisicamente l'elegante Orsini non sarebbe l'ideale per rappresentare la rozza figura del protagonista ma la sua dizione intensa e sicura ed il modo naturale di porgersi riescono a convincere. Superba Giulia Lazzarini. Quest'attrice, cresciuta per tanti anni alla scuola di Giorgio Strehler, è una Kate vibrante di dolore per un lutto mai accettato ma anche un'ambigua e inesorabile custode delle colpe di Joe...
Il pubblico, attento e coinvolto durante lo spettacolo, ha tributato un lunghissimo applauso alla fine di questo intenso dramma.