Il canto della mamma

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INDICE:
Fine dell'adolescenza
- L'Anthurium - Meglio soli... - Quel mio sconosciuto fioreOsservando i miei  bambini



IL CANTO DELLA MAMMA

 

 

 

La voce si elevava, limpida e pura facendo vibrare di tenerezza e di ammirazione, noi, che l'ascoltavamo rapiti in religioso silenzio.

Non pensavamo neppure di applaudirla perchè lei cantava per noi specie per l'amato marito,nostro padre. che guardava la sua prodigiosa consorte, con devozione incorrotta.

Bastava stringerci a lei più d'accosto per testimoniarle ammirazione e gratitudine per quel prezioso dono. Anch'essa ci stringeva, con il volto disteso e ispirato alla fine di ogni brano. Aveva studiato per pochi anni, da giovanissima, con un'amica della madre maestra di canto che vedeva in lei una futura promessa della lirica, ma lei era troppo timida per cantare in pubblico e anche quando, da solista, partecipava al coro della chiesa chiedeva di non essere messa in vista.

Altrimenti si sarebbe bloccata. Era un talento innato che gratificava sé stessa e chi amava.

La sua voce di soprano leggero ben si prestava ai brani melodici lirici e di operette.

Dopo sposata, sapeva di rendere felice il marito molto romantico, con le romanze di Tosti e le struggenti canzoni napoletane,ma lo faceva senza imporsi studi ed esercizi particolari. Da giovane, il vero esercizio lo aveva fatto partecipando alle serate musicali che organizzava spesso una contessa amica di famiglia che facendola esibire insieme alle sue due figlie concertiste, riceveva infiniti complimenti specialmente per " la voce cantante".

Ma lei non se ne inorgogliva più di tanto. Le piaceva cantare e lo faceva quando ne aveva tempo e voglia perchè, sollecita madre di due bambine alle qual confezionava pure gli abiti, aveva tutte le ore occupate ed erano veramente rare le occasioni da dedicare esclusivamente al canto.

Ma quando ciò avveniva era un tripudio di gioia per lei e per noi.

Il babbo, estimatore dei più noti cantanti dei quali collezionava i dischi, era fiero della sua mogliettina che spesso chiamava "Capinera" per la sua chioma bruna e lunghissima che non aveva mai tagliata. E si gloriava che possedesse tanti talenti innati, specialmente il canto.

Ma la fatalità era in agguato per amareggiare la nostra vita semplice e serena.

Accadde in uno di quei mattini domenicali che nostro padre dedicava esclusivamente a noi bambine per abituarci alla visita delle bellezze che Roma sa offrire: Uscivamo presto con itinerari sempre diversi : musei, monumenti, fontane, palazzi e parchi.

Ogni volta era lui a farci da cicerone, spiegandoci la storia antica e facendoci addentrare nell'arte e nella cultura degli avi come fossimo i turisti che affollano la città in ogni stagione per ammirare e capire il fascino di Roma. Poichè tutti almeno, una volta nella vita sperano di visitare Roma. La mamma dopo averci preparato per la passeggiata, ci affidava al babbo che ci avrebbe ricondotte a casa felici e affamate per l'ora di pranzo e, sempre ci avrebbe fatto trovare qualcosa di appetitoso e, magari un dolce diverso per festeggiare la domenica.

Con questi intenti era iniziata quella domenica asfissiante di agosto.

Quella volta eravamo andati ai Musei Capitoli che sono proprio sulla Piazza del Campidoglio.

La mamma che si era data da fare per casa e tra i fornelli, sentendosi accaldata e dovendo soltanto apparecchiare la tavola, pensò di fare un bel bagno profumato che l'avrebbe ristorata dopo avere tanto sudato.

Approntò la vasca e vi s'immerse. Non vi restò che pochi minuti perché un trillo prolungato alla porta d'ingresso, la fece uscire in fretta dall'acqua infilando l'accappatoio mentre grondava acqua per affrettarsi ad aprire.

Quale non fu la sua sorpresa nel trovarsi di fronte la visita inattesa di una cara zia appena arrivata in città e che fra poco sarebbe stata raggiunta dal marito.

Mamma, contenta di vederla, decise che si sarebbe asciugata per bene e rivestita dopo l'arrivo dello zio e, per non lasciarla sola in salotto,prese a conversare con lei che non vedeva da molto tempo. Faceva caldissimo e non sentì freddo perciò oltre l'accappatoio che aveva ancora addosso, si avvolse un asciugamano attorno alla sua voluminosa chioma e non si diede altro pensiero per tutta la mezz'ora che durò la loro chiacchierata che ebbe termine al giungere dello zio. Solo a questo punto la mamma, si decise di ripristinare frettolosamente la sua toletta; constatando che corpo e capelli si erano abbastanza asciugati, non v' indugiò oltre perchè con altri due ospiti doveva correre in cucina per rivedere il menù.

Noi che eravamo rientrati già euforici per la esauriente visita ai grandi saloni del Museo, lo diventammo ancor più trovando i cari ospiti e,alla mamma indaffarata nessuno pensò di prestare aiuto; tutto riuscì alla perfezione con il pranzo ottimo e il dolce squisito e la giornata si concluse splendidamente quando nel pomeriggio gli zii vollero offrirci un gelato alla Villa del Lago, il famoso locale che si trovava al Pincio e che, quella sera, presentava anche un Varietà all'aperto.

Ritornammo a casa che era buio dopo aver accompagnato in albergo gli zii e lo stress della mamma passò a tutti inosservato, lei compresa.

Invece,di quel giorno sarebbe rimasto un indelebile ricordo che amareggiò lei e noi per tutta la vita perché la raucedine causatale dall'essere rimasta bagnata a lungo fra le correnti d'aria della casa, durò a lungo danneggiandole per sempre le corde vocali.

Purtroppo dopo la calda e gioiosa giornata di agosto nostra madre non poté più cantare.

E quando capita di ascoltare le belle romanze del suo repertorio, mia sorella ed io, accusiamo un tuffo al cuore.

 



FINE DELL'ADOLESCENZA

 

 

Valter uscì da casa sbattendo la porta violentemente, ciò a lui non era abituale perché era calmo e riflessivo e, prima di scattare, cercava di ragionare e capire le situazioni.

Da un po' di tempo però sentiva in sé fermenti nuovi e nuovi desideri. Ma nel suo divenire, da adolescente a uomo, si trovava di fronte ostacoli e incomprensioni.

Soprattutto da suo padre venivano parecchi contrasti.

Ne era avvilito ed umiliato. Le rampogne che gli rivolgeva, sentiva di non meritarle ed erano per lui un controsenso.

Soltanto perché aveva un comportamento educato e gentile, suo padre lo rimproverava e non finiva di evidenziare ogni suo gesto mettendolo in ridicolo e gli stava ingenerando un senso d'insicurezza che lo stava schiacciando.

Se il ragazzo non era simile a lui e non era incline agli sport violenti la considerava una colpa.

Anche se ascoltava la sua radiola ad onde corte, che aveva acquistato coi suoi risparmi, era mal fatto considerandola una perdita di tempo e spreco di elettricità..

La musica, invece era una passione naturale che si era sviluppata in Valter già da neonato giacché la madre (come lui musicofila) si era accorta che "il pupetto" stava più calmo e dormiva meglio con le note di Beethowen e, crescendo gli aveva sempre conciliati lo studio e la concentrazione.

D'indole pacifica e conciliante da bravo figliolo, non si era ribellato alla volontà paterna neppure quando gli aveva fatto troncare gli studi per portarlo seco alla filanda dove era caporeparto , mentre il giovane accarezzava l'idea di continuare a studiare.. Si era piegato alla volontà paterna perché non sarebbe stato in grado, con le sue sole forze di giungere ad una laurea..

Il risultato della sua obbedienza però non era quello che aveva sperato e, pur lavorando sodo ai telai della fabbrica, il "caporeparto", non gli facilitava il lavoro, ma lo faceva stare in perpetua agitazione e la sua indole pacifica ne soffriva.

Non mostrava di accorgersi dell'impegno con cui, suo figlio lavorava e lo trattava male davanti a chiunque, invece di gratificarlo con qualche consenso.

Né più né meno di quando gli mostrava le pagelle scolastiche.

Non c'era la minima intesa fra loro.

Mai una volta che gli avesse elargito un "Bravo". Eppure a scuola si era sempre distinto ed era spesso portato ad esempio dai professori per la sua diligenza e mentre sua madre ne traeva una ragionevole soddisfazione da suo padre, mai un commento gentile.

Già! Proprio la gentilezza mancava al babbo.

Che fosse burbero si sapeva e l' avevano sempre accettato in famiglia questo suo carattere rude e autoritario, rispettando i suoi ordini senza discutere, ma ora stava esagerando, specialmente con lui che era il primo figlio e che stava per raggiungere la maggiore età

Le sgridate a suo fratello erano più blande e meno rigorose eppure di marachelle ne combinava parecchie però avendo tre anni meno erano considerate ragazzate e gliele perdonava di buon grado..

Di Checchino, quindicenne veniva minimizzato tutto e di lui, quasi uomo, ogni minima cosa veniva ingigantita. Ebbene era stufo di questo e non gli stava più bene.

A Valter non piaceva che suo fratello parlasse con tutti con tono di superiorità e strafottenza perché lo considerava un segno di maleducazione, ma ogni volta che si azzardava a riprenderlo doveva sorbirsi il rabbuffo paterno che evidentemente approvava quel modo di fare.

E, il piccolo, cresceva con la convinzione di essere sempre approvato, qualunque cosa facesse.

La madre addolorata quanto lui, quando si provava a far rimarcare al marito che Valter non meritava tanta severità, scatenava ancora di più le ire di colui che voleva dirigere la famiglia col sistema del patriarcato e quando era lei a riprender Checchino per qualche gesto maleducato, la zittiva, facendogli presente che il piccolo era più esuberante e aveva bisogno di sfogo.

Due pesi e due misure ! Era evidente che lo preferiva..

Dell'approvazione paterna, si gloriava, l'interessato, a scapito del maggiore che non si sentiva compreso.

La nonna materna, con cui si confidava era al corrente delle sue tristezze e lo consigliava di pazientare che col tempo avrebbe trovato le sue soddisfazioni.

Col suo buonsenso antico cercava di mettere pace e Valter ricordava con nostalgia i periodi che aveva trascorso con lei che abitava fuori città in un villino rustico circondato da cespugli di rose profumate variopinte che formavano il suo orgoglio e che curava con molta dedizione.

Da piccoli, i due nipoti, vi si alternavano in brevi periodi di vacanze ed era come andare nel paese delle fiabe perché ricordava quelle dei cartoni animali con il cane, il gatto e le galline.

Di origine campagnola, aveva modi semplici e una profonda saggezza e trasmetteva l'ottimismo perché confidava nella Provvidenza e si sentiva protetta dall'Angelo Custode.

Era un'anima pia e aveva sempre pronti quegli adagi, ora chiamati aforismi, che, in poche parole, racchiudono profonde verità.

Valter come lei, era portato alla vita semplice e non chiassosa e quando sprofondava in qualche lettura bucolica se ne beava perché apprezzava ogni espressione della natura.

Le sue ambizioni, culturali per il momento le aveva accantonate mordendo il freno.

Fino a che rimaneva figlio di famiglia, i soldi a sua disposizione erano veramente limitati.

Da due anni era entrato in fabbrica e il suo apprendistato non era ancora superato e la paga, non alta, veniva incamerata dal capofamiglia e a lui, restava poco e niente del suo settimanale:

Sapeva economizzare perché non era un vizioso, non era solito frequentare i bar e non fumava.

Cosicché, spaccando il centesimo, riusciva a farselo bastare, ma gli svaghi erano quasi nulli.

Più di un paio di film e qualche libro al mese non aveva altro a cui aspirare.

Aveva sperato che entrando nella vita lavorativa avrebbe avuto più considerazione dal lato paterno, ma nulla era cambiato e veniva trattato come se fosse incapace e meno sveglio del fratello.

Non riusciva a capacitarsene e la madre ne soffriva altrettanto.

In queste condizioni anche avere la ragazza sarebbe stato difficile perché non aveva nulla da offrirle.

Questo insieme di cose lo teneva spesso pensieroso e malinconico e faceva crescere il suo malumore e a quasi 18 anni, non aveva mai avuto una passioncella né si neppure permesso di prendere in giro qualche coetanea per puro divertimento come erano soliti raccontare i giovani della sua età che si vantavano continue conquiste e, stava accadendo, che questo metodo, lo stesse mettendo in pratica anche suo fratello che, alto di statura, dimostrava più dei suoi anni..

Valter faceva parte di quei ragazzi seri e sinceri che non si sarebbe mai sognato di giocare coi sentimenti altrui e illudere una coetanea.

Riteneva che se un giorno avesse avuta l'occasione d' innamorarsi di una brava ragazza sarebbe stato per un legame costruttivo e continuativo e si sarebbe comportato degnamente.

Proprio dopo l'ennesimo rimprovero immeritato, era uscito di casa risentito sbattendo l'uscio in quel modo e aveva preso a camminare senza una meta precisa per sbollire la rabbia..

Vagava, nervoso e coi pugni stretti rimproverandosi quel gesto perché, così facendo, si era rovinata la giornata di riposo che si era ripromesso di trascorrere tranquillamente leggendo l'ultimo libro che aveva acquistato : "E adesso..pover'uomo?" di Hans Fallada.

Almeno avesse pensato di portarselo dietro...avrebbe potuto leggerlo standosene in qualche parco!

Da quanti anni aveva trovato conforto e divago nei libri?

Di sicuro dacché aveva imparato a leggere! Cioè da sempre.

Si stava accorgendo che più di una persona lo guardava con insistenza e fu dinanzi la vetrina di un negozio che vide la sua immagine riflessa, cupa e accigliata e con le mani chiuse a pugno ciondoloni. Male i si addiceva al suo volto solare e sincero.

Si ricompose e respirò a pieni polmoni.

Raggiunto il ponte che sovrastava il fiume fece sosta, appoggiandosi coi gomiti al parapetto.

Con la testa fra le mani, fissò l'acqua che placida scorreva sotto di lui.

Associò quell'acqua alla sua esistenza che appariva tranquilla, mentre, al disotto della la superficie, si alternavano mulinelli e vortici. Come il fiume...la sua vita!

Un apparenza di tranquilla monotonia, ritenuta addirittura irresolutezza, mentre l'anima era in subbuglio perché inappagata..

Si riscosse con uno scatto inconsulto e fece per voltarsi, ma urtò una signorina che veniva in senso inverso. Un piccolo gridò e una borsetta aperta in terra! Un attimo di disagio e già lei si era chinata per raccattare le sue cose.

Valter mortificatissimo capì di essere responsabile dell'accaduto e sentì salirgli una vampata di rossore fino agli occhi, sveltamente si chinò pure lui profondendosi in scuse smozzicate.

Nel vederlo tanto confuso e imporporato, lei fu presa da buonumore e per fargli capire che non era accaduto nulla di grave. Le stese la mano mentre diceva: "E' lei che deve scusare me perché le sono passata troppo vicina, ma questo marciapiede è così stretto che non potevo fare altrimenti!"

Sempre ridendo, mise la borsetta sul parapetto del ponte per rimettervi le cose che le porgeva il ragazzo e, non la finivano di scusarsi a vicenda.

Risero di cuore e l' ira di Valter sparì d'incanto guardando quella bella ragazza.

Per rimediare a quella sua sbadataggine, con un coraggio inusitato, lui chiese di poterla accompagnare e con naturalezza lei accettò.

Aveva appuntamento con la nonna per andare a far spese.. ".Prima di mettermi a dormire"- disse.

Lui sgranò gli occhi perché si era di primo mattino. Intuendo la sua domanda,ella precisò: "Si! Ha capito bene debbo andare a dormire perché sono centralinista in ospedale e sto tornando dal turno notturno...forse anche la mia stanchezza mi ha fatto scivolare la borsa, ma oggi, finalmente potrò dormire tutto il giorno perchè è giorno di riposo."

La spontaneità con cui aveva parlato, fece subito presa su Valter che, vinta la timidezza, si sentì più spigliato e prese a camminargli accanto proseguendo la strada e, chiacchierando familiarmente si scambiarono i nomi e proseguirono fino al cancello del palazzone dove Grazia aveva appuntamento con la nonna che però non era ancora scesa da casa.

Si salutarono nel mentre la ragazza premeva il pulsante del citofono, ma Valter non poté lasciarla senza chiederle se potevano rivedersi per una passeggiata, ma lei, con un'altra delle sue gaie espressioni, fu pronta a dire che neanche se lo sognava di poter passeggiare e se si erano incontrati era stato per puro caso. Lui insistette: "Mi dica almeno qual'è il suo giorno di riposo."

Alla giovane fece quasi tenerezza il modo timido con cui parlava e lo informò che era una volta alla settimana... Nulla di più.

Valter parve soddisfatto perché anche lui sorrise allontanandosi.

Nel frattempo la nonna, stava uscendo dall'ascensore. Grazia le si fece incontro dandole un bacio. Nonna Dora che era alla finestra in attesa, aveva visto i due giungere insieme e ne chiese spiegazione: "Chi è quello? Un tuo collega?" E, alla risposta della nipote restò perplessa: "Quello? Neanche lo conosco!"

Nonna Dora non insistette oltre però mentre la sera stavano cenando, trovò il modo di farsi raccontare come lo aveva conosciuto e tenne a mente le parole di Grazia : " Un semplice incontro e neppure lo rivedrò più!".

Grazia neanche immaginava che quel giovane non era affatto della stessa idea poiché nel ritornare a casa si sentì diverso e, con le mani in tasca e il passo spedito si trovò a fischiettare una canzone in voga tutto preso nel ripensare a due occhi incantevoli che gli avevano sorriso.

Non c'era più traccia dei suoi pensieri amari che lo avevano tenuto in tensione fino a mezz'ora prima come se una dolce fata gli avesse accarezzato il cuore.

E, quella fata, voleva rivederla.

Nei giorni seguenti non fece che pensarla e, ogni parola scambiata, si era impressa nella sua mente.

Si rimproverava di non averle chiesto qualcosa di più della sua vita.

Tante cose avrebbe voluto sapere!

Perché aveva detto che alle passeggiate neppure ci pensava?

Perché viveva con la nonna? E quanti anni aveva?

A causa del breve percorso non vi era stato tempo per sapere nulla.

Era diventata una dolce ossessione pensare a lei e aveva escogitato un altro percorso per tornare a casa dopo il lavoro tralasciando l'abituale mezzo pubblico che lo lasciava a due passi dal suo portone per prendere quello che aveva una fermata a poca distanza dal ponte dell'incontro.

Raggiungeva il ponte a piedi e ripercorreva la strada fatta con lei fino al palazzone dove l'aveva lasciata e sperando di vederla vi sostava a lungo sobbarcandosi poi un lungo tragitto a piedi per rientrare a casa

La madre fu l'unica ad accorgersi che Valter non era più puntuale come prima e che le sue scarpe, sempre lucide e accurate, recavano tracce di lunghi percorsi a piedi.

Dove andava a perdere tempo suo figlio dopo il lavoro ?

In passato prima della cena ascoltava la radio o leggeva...ora entrava in casa trafelato, appena in tempo per lavarsi le mani prima e mettersi a tavola e mangiare molto distratto.

Mangiava senza porre attenzione a cosa c'era nel piatto e non raccoglieva più le punzecchiature del fratello e i sarcasmi del genitore.

Però la sua faccia non era tesa e non rivelava malesseri. Aveva proprio l'espressione incantata di chi con la mente è lontano mille miglia. Che fosse innamorato?

L'intuito materno aveva colto nel segno prima del diretto interessato! E ne era anche contenta.

Intanto suo figlio, constatando l'inutilità delle attese sul ponte decise di fare lo Scherlock Holmes. 

Il ponte dove si erano incontrati era nella dirittura di un Ospedale Pediatrico e quasi certamente proprio là era impiegata e avendo il loro riposo nello stesso giorno, c'era la possibilità che l'incontro potesse ripetersi; non si sentiva però di attendere passivamente e si diede da fare cominciano a prendere l'elenco telefonico.

Annotò il lungo elenco dei numeri dell' ospedale pediatrico preso in considerazione e cominciò a digitarne qualcuno, ma sempre voci maschili rispondevano al suo Pronto e lui riattaccava senza dir nulla finché decise di chiedere di lei.

All'uomo che rispose ad uno di quei numeri chiese direttamente della centralinista Grazia e col cuore in gola attese la risposta : " Mi dispiace, oggi non è di turno."

Bastò questo per sapere che lì c'era veramente. E decise di piantonare l'uscita dell'ospedale.

L'adolescenza era finita e pensieri più adulti e consapevoli si fecero strada nella sua mente. Spariva così il ragazzo timoroso ed esitante, lasciando posto al futuro uomo capace di organizzare la sua vita per il benessere proprio e di colei che aveva scelta per condividerla.

 

FINE

 

 



L'ANTHURIUM

 

La pianta mi era stato donata da mia cugina Valeria dopo un complimento poetico che le avevo dedicato, me l'aveva fatta recapitare dal suo fioraio di fiducia che aveva garantita una prossima fioritura.

Anche lei ne aveva acquistata una simile qualche tempo addietro ed era in fiore sul suo giardino pensile nella zona più alta di Roma, quindi con tanto sole.

Mi entusiasmai nell'ammirare le bellissime foglie lanceolate consistenti e affusolate al margine e di un bel colore verde chiaro Di foglie ne aveva tre, la mia bella pianta, alte e superbe che svettavano verso il cielo dipartendosi dallo stelo, ma restando quasi abbracciate fra loro.

Sapevo che anche il fiore mi avrebbe entusiasmato per il racconto che me ne aveva fatto Valeria. Posi il vaso in bella mostra nel vano di un finestrone senza serranda dove avrebbe avuta perenne luce e senza correnti d'aria come una piccola serra.

Ero convinta di aver scelto il punto giusto perché molto luminoso e caldo, sapendo che l'anthurium è una pianta tropicale e fuori dal suo ambiente preferisce vivere in serra.

Mi premurai di darle l'acqua giusta, innaffiandola regolarmente e restai in attesa del fiore.

Mi accorsi dopo qualche tempo che la pianta deperiva e le sue foglie non erano più così splendenti e lucide come prima.

Ci stavo rimanendo male perché mi picco di avere il pollice verde e sul mio grande balcone ci sono piante di tutti i generi che crescono e si moltiplicano senza difficoltà.

Mia cugina, in quel periodo era in viaggio e, per parecchio tempo non avemmo modo di sentirci, sicché delle sorti della pianta non fu messa al corrente.

Ne fui contenta perché non le volevo dire che l'anthurium mi stava deludendo e dimostrava di non apprezzare la mia disponibilità neppure dopo aver provato a metterla in altre posizioni interne, per poi tenerla definitivamente all'aperto notte e giorno.

Fu ancora peggio perché le foglie divennero gialle e si afflosciarono una dietro l'altra e l'ultima mi decisi a tagliarla io stessa, lasciando solo un mozzicone di fusto.

Mi dispiacque moltissimo assistere al suo declino definitivo, ma non volli gettarla e lasciai il vaso un po' nascosto, innaffiandolo ugualmente insieme agli altri e ogni volta, avrei voluto chiederle scusa per non averla saputo curare

La stagione invernale passò in quelle condizioni e, al giungere della primavera, nel ripulire le piante dal seccume e potando i gerani pensai d'infilare una talea nello spazio negletto del vaso senza togliere la radice dell'anthurium.

Dopo appena pochi giorni, vidi che la talea stava germogliando e mi sembrò che fra le due piante di diversa origine, ma carnose entrambe, s'instaurasse una gara di solidarietà giacché l'esotica iniziò a rinverdire il suo fustino secco e il geranio mise una prima fogliolina.

Rimasi estatica a guardare quel miracolo che la natura mi offriva e fui ben felice di non aver gettato via quella pianta che sul principio si era male adattata e, adesso in compagnia, si stava ambientando

Le foglie dell'anthurium si allungavano a vista d'occhio, vivide e prorompenti, lasciando addietro quelle del geranio basse e rotondeggianti, formando un gradevole e naturale ikebana molto piacevole da vedere giacché il verde chiaro delle foglie alte e il verde-violetto del geranio alla base, formavano un bellissimo contrasto.

Il risorgere della pianta morta mi fece ben sperare di poter vedere finalmente il suo fiore e nel pensarlo ebbi una intuizione che poteva spiegare l'aborto della pianta, se è vero che anche i vegetali,hanno un'anima, come hanno sperimentato i botanici.

La mia pianta che veniva dalla serra del fioraio zeppa di piantagione, nel trovarsi in poco tempo (quello del trasporto) in uno spazio e in un clima diverso l' aveva fatta morire di malinconia.

Più ci pensavo e più ne ero convinta: era stata uccisa dalla solitudine.

Dopo il letargo invernale, trovandosi in compagnia della talea, aveva ripreso gusto alla vita e già vedevo formarsi la protuberanza del calice di quel fiore che, sbocciando, sarebbe valso per me come un ringraziamento per la compagnia che le avevo procurata.    

 

FINE

 


  



MEGLIO SOLI...

 

 

Lo stato di guerra fra Italia ed Austria stava creando molte preoccupazioni nella famiglia Stralavic che era austriaca, ma aveva una importante Ditta commerciale a Trieste in una zona che fra non molto, sarebbe diventata rovente.

Adolfo, aveva preso da poco le redini dell'attività commerciale fondata da suo padre..

La nuova responsabilità aveva sconvolto anche il suo menage coniugale non ancora ben consolidato dopo un matrimonio d'amore contratto con entusiasmo, ma che, quasi subito, aveva posto sulle spalle della sposina molti doveri imprevisti.

La Ditta stava già subendo delle rappresaglie perché, accusata di collaborazionismo col Governo Imperiale, non era più gradita in terra italiana.

Tutti comprendevano le difficoltà del momento che stava trasformando abitudini consolidate da decenni e anche gli affari non sarebbero stati più floridi come nel passato.

Proprio in quei giorni, altri due clienti, avevano ritirate le consegne non volendo più trattare con loro e persino il Governatore austriaco, loro buon amico, aveva consigliato di portare l'attività a Vienna quanto prima. Meglio spostarsi al più presto approfittando della simpatia che ancora dimostrava loro il governo austriaco. In famiglia si stava considerando questa opportunità, ma le difficoltà erano molte giacché non era un problema da poco.

Non tanto per quanto riguardava gli uffici, ma proprio per le esigenze dei vari componenti la famiglia Stralavic. Adolfo era oppresso da questi pensieri e sua moglie Giulia altrettanto.

Ella che aveva portata in dote la villa ove risiedevano e dove lei era nata, stava soffrendo molto al pensiero di dover chiudere la sua proprietà lasciandola in balia delle truppe che avanzavano e che, trovandola vuota, l'avrebbero requisita facendone scempio. Non se ne faceva una ragione, ma neppure si sentiva di addivenire ad una specie di separazione lasciando che suo marito seguisse da solo le sorti della ditta in Austria. Il problema principale consisteva nel fatto che anche suo suocero e suo cognato Vladimiro erano venuti ad abitare con loro, affidati alle sue cure perché bisognosi di attenzioni. La coabitazione che sarebbe dovuta essere di breve durata, fu necessaria in un momento di emergenza allorché la madre di Adolfo era morta d'infarto ricevendo la notizia che Vladimiro era in fin di vita per una ferita alla testa ricevuta durante un combattimento in trincea. Egli, giovane ufficiale era stato tra i primi ad arruolarsi e quasi subito era ritornato in convalescenza apprendendo che a causa sua la madre era morta. Ciò lo aveva sconvolto e, da quel momento, soffriva di turbe psichiche

La modifica dell' assetto familiare aveva scombinato il menage dei giovani sposi e la situazione si stava aggravando in vista di un eventuale trasferimento.

Giulia con molta abnegazione si era accollata la cura dei congiunti del marito per quanto ciò non fosse nelle su previsioni allorché era andata sposa ad Adolfo, brillante giornalista sportivo. Lo stesso Adolfo, aveva subito un cambiamento radicale di vita, dal momento che era dovuto subentrare al padre nella conduzione dell' attività paterna considerandosi ormai al pari di un impiegato pendolare costretto a spostarsi ogni giorno, dalla villa in campagna all'ufficio di Trento e viceversa.

Il solo vantaggio era quello di essere più presente in famiglia di quanto non lo fosse stato quando aveva impegni giornalistici che già avevano creato delle screpolature nel suo legame matrimoniale..perché sua moglie non gli perdonava ancora i periodi di solitudine che le avevano causate le sue lunghe trasferte giornalistiche.

Ed erano solo tre anni che erano sposati, dopo un periodo di fidanzamento entusiasmante che lasciava prevedere gioia e serenità.

La giovane donna ben presto si era intristita per il sopraggiungere degl' infausti avvenimenti familiari che l'avevano coinvolta privandola dell'intimità a cui aveva diritto.

La morte della suocera aveva dato l'avvio a successive avversità che nessuno aveva previste. Di buon grado aveva accolto in casa i parenti di suo marito nel momento più gravoso, ma la sua vita di novella sposa si era infranta perché doveva provvedere a troppe incombenze e non bastava l'aiuto della servitù a risolvere gl'inaspettati doveri che gli erano piovuti addosso, incrinando la sua vita domestica.

Con la fine della spensieratezza era cambiato anche il suo carattere che si era intristito nella convinzione che a suo marito non importasse poi molto quanto gravasse su di lei la conduzione di quel complicato complesso familiare che necessitava di un impegno costante. Adolfo riconosceva l 'abnegazione di Giulia per la sua famiglia, ma nulla poteva fare per cambiare le cose, preso com' era dai nuovi avvenimenti: suo padre definitivamente cieco e suo fratello sul quale non si poteva più contare perché reso inabile dalle conseguenze belliche. Adesso con la guerra che stava invadendo il trentino, anche la prospettiva di traslocare per sottrarsi alle varie rappresaglie per motivi politici.

L'allegria era sparita da tempo e, nella villa si respirava una pesante atmosfera

Non era quello il matrimonio che lui e Giulia avevano sognato!

Lei, poi, ne dava colpa al suo compagno che, al momento della vedovanza di suo padre aveva chiesto a sua moglie di accoglierlo presso di loro con la speranza che il soggiorno sarebbe stato di breve durata e si sarebbe concluso a quando suo fratello ristabilitosi, avrebbe messo su casa insieme al padre. Mq le cose non erano andate così e il precipitare degli avvenimenti avevano ostacolato il progetto e Giulia ne era la vittima principale. Lei aveva dovuto accantonare subito l'idea di avere un figlio e si sentiva usata da tutti.

Inoltre, era torturata dalla gelosia verso quel marito sempre lontano.  

Era da molto che le serpeggiava nell'animo la gelosia. Fin dal tempo che lui, inviato sportivo, doveva intervistare gli atleti più in vista, specialmente quelli di sesso femminile...

Al tempo che le vittorie della tennista tedesca Leda Granoschi, si susseguivano a ritmo continuo le interviste furono molte, spesso sollecitate dalla stessa atleta. Questo aveva aguzzato le antenne della giovane moglie che aveva subodorato ci fosse, fra i due, un intesa sentimentale.

Sentiva di non poter tener testa alle belle e spregiudicate ragazze che volteggiavano negli stadi a tu per tu con Adolfo, sia pure con l'intento di assicurarsi una menzione sul giornale. Lei, essendo di famiglia agiata, era stata educata con sani principi ed aveva abbracciato con naturalezza il ruolo di" casalinga" : brava moglie ed ottima futura madre e non avrebbe mai saputo usare le seduzioni di donne più scaltre però ne soffriva avvertendone il pericolo.

Anche perché la vita di "Signora di campagna" altro non le consentiva.

Adolfo, attribuiva altri motivi alla malinconia della moglie. la credeva legata a ricordi adolescenziali o al pentimento di essersi sposata.

Evidentemente i due non avevano dialogo e ne sarebbe stato necessario subito uno. sincero e chiarificatore. E il dialogo avvenne e, dopo molte perplessità, Giulia si convinse che la cosa migliore era quella di lasciare ai congiunti di Adolfo la libertà di abitare nella villa e con loro sarebbe rimasta la vecchia servitù della casa che avrebbe continuato ad aver cura di loro.

E fu una decisione azzeccatissima!

Intanto la ditta era stata trasferita a Vienna dove vi era già una succursale e, i due coniugi avevano dato incarico ad una Agenzia immobiliare di acquistare, nei pressi, un alloggio solo per loro e, come novelli sposi partirono per una seconda luna di miele...

Soluzione migliore non si poteva escogitare e ben presto ne furono evidenti i risultati perché dopo pochi mesi giunse la lieta novella che ben presto un piccolo Stralavic avrebbe rallegrato la felice famigliola.

 

FINE

 

 

 



QUEL MIO SCONOSCIUTO FIORE

 

Come tutti i bambini, ho cominciato a pasticciare da piccolissima con gessetti e matite, e, dapprima sulla lavagnetta che mi aveva portata la Befana e, in seguito, sugli album che la cara vecchina non mancava mai di far scivolare dal camino, tracciavo i disegni fantastici e approssimati che mi suggeriva la fantasia.

Erano sgorbi ai quali davo la mia parvenza di verità poiché non sono stata mai molto brava in disegno mentre questo talento è toccato a mia sorella.

Quando lei nacque, non avevo ancora tre anni, ma avendo a pochi passi da casa nostra, una delle prime deliziose "CASA DEI BAMBINI MONTESSORIANA" vi fui iscritta per assecondare la mia predisposizione ad imparare che si evidenziava con le continue domande su ogni cosa.

Assillavo, infatti, di continui "perché" chiunque fosse disposto a tenermi compagnia e, una amica della mamma si divertiva pure a mettermi in imbarazzo rimbalzandomi i suoi perché.  

Ancora, vagamente, qualche ricordo di allora m'è restato e mia madre mi raccontava, in seguito quanto fossi contenta di andare a quella "scuoletta" che frequentavo anche con sussiego perché mi avrebbe fatta diventare "maestra" e lo andavo dicendo a quanti mi ponevo la immancabile domanda

Che tutti i bambini si sentono rivolgere: Cosa vuoi fare da grande?

Nella scuoletta materna, mi sbizzarrivo a disegnare ciò che la fantasia mi suggeriva nei grandi fogli che noi bimbi avevamo a disposizione e che poi si attaccavano alle pareti come in una mostra. Vi spiccavano le solite sproporzionate case col tetto rosso e il fumaiolo, le stradine storte con gli alberi che parevano volare perché senza radici e l'immancabile sole contornato di raggi e tante nuvolette attorno. E i prati con i fiori, tanti e colorati come volevamo noi.

Quelli che ripetevo io, in continuazione, erano due: con tanti petali a punta o con quattro petali panciuti attorno al circoletto centrale.

Il primo tipo lo chiamavo crisantemo e l'altro papavero   Mi accorsi poi che i veri crisantemi che portavamo ai nostri cari defunti, non erano affatto come quelli che disegnavo io.

Eguale delusione nel vedere che l'altro fiore che chiamavo papavero non era quello che nasce nei prati e che è invariabilmente di colore rosso.

I colori che affibbiavo a miei petali a forma di cuore erano sempre rosa o celeste.

Con le viole andavo meglio perché sul nostro balcone, la mamma ne aveva tanti vasi di tutti i colori e mi era facile copiarle.

Imparando la scrittura era coi segni dell'alfabeto che mi sbizzarrivo e li ripetevo in tante forme e misure perché ne ero affascinata sapendo che quei segni strani servivano a formare le parole che riempivano le pagine dei libri che erano nella grande libreria del babbo che non perdeva occasione per leggermi qualcosa di adatto alla mia età.

Pure disegnando vocali e consonanti inventavo e tracciavo qualcosa che non sapevo decifrare ancora e e che non aveva un senso preciso.

Poteva essere un iniziale presentimento di scrittura WordArt che ho imparato in seguito.

Non sapevo allora che la passione dello scrivere mi avrebbe attanagliata, accompagnandomi per tutta la vita.

La cosa sorprendente però è stata la scoperta che ho fatta nella mia età più avanzata quando mi è capitato un articolo dedicato al "pollice verde" che illustrava un certo fiore che figurava nella pagina e che io vedevo per la prima volta e che riconobbi essere quel mio fiore sconosciuto, preciso nella forma e nei tenui colori, che aveva nome "Clematide".   

 

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OSSERVANDO I MIEI BAMBINI

 

 

Non so quanto queste mie osservazioni possano valere in questi nostri tempi rivoluzionari e pieni di novità e gli studi di sociologi e pedagoghi, pongono a disposizione di ogni madre, guide più opportune e precise.

In aggiunta,hanno l'assistenza continuata dei pediatri che le pone nella condizione di procedere sicure 

Pur accettando molte novità, io credo che l'esperienze dirette che una madre accumula siano sempre valide e valgano molto di più della lettura di qualche trattato.

Ecco perché ho tracciate queste modeste osservazioni che dedico a tutte le donne , specialmente se neo-mamme.

Per prima cosa ripulire l'animo dai preconcetti e dalle superstizioni che

adombrano sempre la verità, tenendo presente che l'amore e la dedizione per le proprie creature siano i migliori consiglieri.

Non avere mai timore di sbagliare, ma agire sempre guidate dalla serenità interiore e aggiornare continuamente le proprie cognizioni e la carica necessaria si troverà nella certezza che ogni sacrificio che si farà porterà al bene dei piccoli e questo è il compenso più grande.

Se fin dalla nascita i bambini avranno cure ed esempi sereni, diverranno adulti

decisi, consapevoli ed appagati, pertanto si deve tener presente che essi sono come spugne che assorbono continuamente,anche quando sembrano assorti nei loro trastulli, ciò che vedono e che sentono farà presa su di loro.

Se ne avrà conferma allorché, d'improvviso, chiederanno la spiegazione di un qualsiasi perché o faranno una critica che sbalordirà, tanto è imprevedibile.

L'atteggiamento protettivo, necessario nei primi tempi, dovrà essere ridimensionato divenendo meno servizievole e più paritario.

Si deve far credere che il loro piccolo aiuto ci è necessario cosicché, consapevoli delle loro azioni,ne saranno orgogliosi e acquisteranno la fiducia in sé stessi.

Vanno spronati nell'azione e non interdetti dai troppi timori!

Anche i loro giuochi vanno indirizzati secondo la loro personalità e non forzarli in cose che fanno controvoglia.

Il tempo cambierà molte loro richieste e ciò avverrà gradatamente a seconda la loro disposizione : se sono esuberanti ameranno giochi più sfrenati e se sono mansueti vorranno leggere o fare disegni.

Gradiranno più di tutto crearsi da soli i propri giocattoli secondo i progetti elaborati dalla loro mente che si alternano e si rinnovano di continuo.

Un altro compito dei genitori, ma soprattutto della madre che ci passa più tempo insieme, è quello di stimolarne la curiosità ed esaudire ogni domanda in modo semplice e chiaro.

Stimolare l'interesse dei bambini è facile purché si abbia pazienza e dimostrare che si è interessati ai loro argomenti e, spesso è proprio quel dire: "Non ho tempo" o "Lasciami in pace" che inquina il rapporto perché ne rimangono feriti dato che vedono la madre come fonte di conoscenza che deve sempre essere disponibile.

I racconti,le fiabe,le parabole debbono essere gli alleati preferiti per insegnare la morale e la buona educazione; gli stessi bambini, spesso,vogliono   suggerire un personaggio o una situazione su cui impiantare una storia che, poi, richiederanno all'infinito sentendosene autori e protagonisti.

Più importante è, infine, non turbare la loro innocenza e stare in guardia affinché mai cose impure offuschino l'innocenza dei loro sguardi.

Non trascurare le piccole amicizie e non tenerli isolati.

Un'amicizia pura e sincera coltivata fin dall'infanzia ha un enorme valore perché anche gli scambi d'idee uguali o dissonanti formano il carattere e rendono aperti alla confidenza e alla sincerità.

Anche i genitori possono essere confidenti dei figli e, sarebbe una conquista da ambo le parti.

Queste mie semplici considerazioni, sono valide anche per i padri che, sempre in maggior numero affiancano le loro partner volontariamente o, costretti a sostituirle, ora che diritti e doveri familiari si sono unificati. tenendo presente che l'oculatezza e l'amore con cui li allevano, vengono assorbite dalle giovani vite che ne trarranno l'equilibrio necessario per il loro futuro.

L'amore e il timore,entrambi moderati nell'apparenza, ma fortemente intesi nella sostanza,saranno per loro le migliori guide.

La vita dovrebbe essere un continuo assestamento e miglioramento per tutta la famiglia e ogni nuovo essere che in essa germoglia dovrebbe ricevere le cure di cui abbisogna per permettere che il modus-vivendi corrisponda alla personalità di ognuno, senza soprusi e senza imposizioni.

Il mondo non ha bisogno di automi perfetti, ma di coscienze rette e serene che sappiano dimostrare la concretezza e la disponibilità della loro formazione.

E questo alto compito spetta, in primo luogo, ai genitori.

 

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